LAPIS
Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ad Assisi
Ieri, dalla Loggia della piazza inferiore di Assisi, Giorgia Meloni non ha semplicemente parlato: ha consegnato all’Umbria, all’Italia e al cammino spirituale del nostro popolo un segno di responsabilità e di speranza. Il contesto era quello solenne della festa di San Francesco, patrono d’Italia, occasione che non consentiva giri di parole o retorica facile. E quel che si è udito, quel che si è visto, merita di essere letto con attenzione, con rispetto e, perché no, con fiducia. Rileggendo il testo dell’intervento, nella sostanza si tratta di una promessa dal sapore molto diverso dai soliti slogan politici. Le parole usate sono dense di significato e sono state pronunciate nel nome dell’alto ruolo istituzionale che si rappresenta, ma al tempo stesso nel nome di tutti gli italiani, visto che la stessa premier ha ricordato che San Francesco non è solo il santo di Assisi, ma il santo d’Italia. Un Santo al quale il Parlamento ha deciso di restituire, dal 2026, la festività nazionale nel giorno a lui dedicato. In particolare, è sul tema della pace che il discorso di Meloni acquista peso. Non come enunciato retorico, ma come obbligo concreto: “La pace non si materializza quando si invoca, ma quando si costruisce con impegno e coraggio, mettendo un mattone dopo l’altro”.
Questa frase, detta proprio in Umbria - terra sospesa tra cielo e terra, tra fede e lavoro, tra memoria e futuro - assume una potenza particolare. Nel mondo lacerato da guerre e tensioni che non ci risparmiano - dal Medio Oriente all’Ucraina - pronunciare “pace” dalle pendici del Subasio non è una suggestione turistica, ma un monito civile. Se il capo del governo assume quel termine nel cuore del suo messaggio ufficiale, chiunque lo ascolti non può liquidarlo come gesto esteriore. È un vincolo morale e politico con cui misurare le scelte future. E l’Umbria, in questo caso, non è solo scenario: è il cesello del messaggio. San Francesco ha plasmato questa regione con il silenzio delle pietre e con un linguaggio che, più che predicare, incarnava valori alti. Meloni ha evocato il Santo non come immagine decorativa, ma come “ponte tra Oriente e Occidente”, figura in grado di suggerire che il dialogo con il diverso non è debolezza ma densità morale.
Quando ha citato il Cantico delle creature, non ha fatto un riferimento di maniera: ha richiamato una grammatica urgente, fatta di relazioni con il creato, di rispetto per le creature, di ascolto per ciò che è vulnerabile. Da quella loggia, insomma, Meloni ha assunto un compito che va oltre il perimetro dell’azione di governo: ha voluto parlare a tutti gli italiani. Non è stata una celebrazione autoreferenziale; è stato un appello alla comunità nazionale, alla responsabilità collettiva, a un’identità che non si riduce al presente ma guarda al futuro. Sì, c’è stata una breve contestazione: fischi isolati e prima che la premier parlasse; dopo, la reazione predominante è stata di applausi. Segno che quelle parole, con i loro rischi e le loro sfide, hanno toccato corde vere. La premier ha rivendicato che, sul fronte della pace, l’Italia non si è mai tirata indietro e che il suo governo ha lavorato per risultati concreti: sostegno umanitario a Gaza e ruolo di interlocutore credibile nei tentativi di mediazione. Ha richiamato, in chiave francescana, la cultura del rispetto e, in termini evangelici, l’amore per il nemico. Tutto sta a vedere se quell’impegno troverà coerenza nelle prossime scelte.
Ora resta il passo decisivo: che quelle parole non restino incensate, ma vengano vissute e concretizzate anche nel dialogo politico che oggi in Italia resta troppo, pretestuosamente, divisivo. Da tutte le parti. Non basta dichiarare la pace: bisogna costruirla. Non basta evocare San Francesco: bisogna custodirne lo spirito. Non basta invocare il dialogo: bisogna favorirlo, anche con il rivale. E non basta essere in Umbria: bisogna fare dell’Umbria modello, simbolo, testimonianza. In conclusione, il discorso di ieri è un segnale potente e - per molti critici della premier - inatteso. Offre agli umbri la ragione di sperare che il proprio vocabolario spirituale guidi la linea politica; e all’Italia la sfida di far sì che Assisi non resti solo pietra e memoria, ma diventi motore di una politica con un’anima.
Se Giorgia Meloni ha parlato ieri “a nome personale e a nome del ruolo del premier”, ha anche contratto un debito morale con tutti gli italiani: non solo con chi l’ha votata, ma con chi dissente, con chi ha protestato in piazza senza bandiere di partito, con chi critica senza farsi trascinare dalla strumentalizzazione. Il banco di prova sarà vedere se quest’impegno verrà onorato. Il criterio per giudicare, stavolta, non sarà il colore politico, ma la coerenza con ciò che è stato pronunciato pubblicamente, con la gravità del contesto internazionale e con la vocazione di una regione che è da sempre “cuore viandante” del dialogo fra fede e ragione. E questo appello riguarda maggioranza e opposizioni: misuratevi tutti sulla pace, non sul pregiudizio.
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy