Attualità
Lunedì a Perugia, Terni e Orvieto, dove lo sciopero pro Palestina si è svolto con correttezza e rispetto, si è vista la dignità di quanti credono nella protesta civile. Ma in tante grandi città si sono registrate scene che feriscono l’Italia.
Vedere attacchi alla polizia, vetrine infrante, barricate improvvisate, treni bloccati, passeggeri e turisti ostaggio degli slogan urlati, non è sacrificio, non è lotta, è autodistruzione del messaggio. Perché quando il diritto alla voce diventa braccio armato, tutto svanisce: l’indignazione, la sofferenza, la solidarietà con chi subisce, a Gaza come altrove.
La violenza contro le istituzioni e contro gli altri cittadini, non è mai giustificabile. Rovesciare cassonetti e lanciare bottiglie e pneumatici per impedire l’accesso alle strade, ai porti e alle stazioni e causare volutamente disagi insormontabili è oltraggio alla libertà altrui.
Una protesta contro un governo straniero può anche criticare le politiche estere del nostro, ma le regole civili vanno rispettate, sempre. Altrimenti la finalità stessa dello sciopero viene svilita e l’urlo di dolore che doveva essere amplificato finisce soffocato, frainteso.
E’ una questione di credibilità morale. Con la violenza si fa anche il gioco di chi vuole silenziare certe voci. Si crea un pretesto per reprimere. E si regala la scusa perfetta per parlare più di ordine pubblico invece che di Gaza.
Così la protesta diventa un boomerang: colpisce chi la lancia e lascia intatti i veri bersagli.
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