Attualità
Si torna a parlare insistentemente, in questi giorni, di zone urbane con limiti di velocità per i veicoli a 30 chilometri orari. Perugia è l’esempio più recente di queste discussioni. E, allora, ben vengano le Città 30. Davvero. Meno velocità significa più sicurezza, meno incidenti e più vivibilità.
È un segnale di civiltà che avvicina anche l’Italia alle migliori esperienze europee. Ma la vera domanda è: una volta decisi questi limiti, chi controlla? Perché fissare un limite di velocità senza farlo rispettare rischia di trasformarlo in una pia illusione. E noi italiani, si sa, siamo maestri nell’interpretazione creativa dei divieti.
Per molti automobilisti il cartello dei 30 all’ora — perché in tutte le nostre città, in verità, già se ne trovano sparsi qua e là — è un consiglio facoltativo, non un obbligo. E, ammettiamolo, spesso sembra messo lì più per tutelare le responsabilità delle amministrazioni in caso d’incidente che per proteggere davvero pedoni e ciclisti.
Il punto è proprio questo: le zone 30 funzionano solo se diventano realtà quotidiana. Non basta dipingere un numero sull’asfalto, servono controlli veri e sanzioni puntuali. E serve una nuova cultura comune.
Siamo pronti a multe, autovelox e pattuglie? E a diventare tutti automobilisti disciplinati?
Se la risposta è no, resteremo prigionieri delle nostre cattive abitudini, con tante Città 30 che esisteranno solo sulla carta.
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