Attualità
Non capita tutti i giorni di vedere un luogo pubblico come il refettorio di San Pietro trasformarsi in una sorta di tribunale della storia. Sabato pomeriggio, Gubbio si è data appuntamento lì per ascoltare una tesi che, inutile girarci intorno, divide: i Ceri, icona identitaria della città, emblema della Regione Umbria, non sarebbero soltanto simbolo di devozione, ma memoria viva di una guerra.
Sul tavolo, l'ipotesi di Vincenzo Ambrogi, chirurgo toracico ma anche chirurgo della storia eugubina, che insieme a Mario Farneti, giornalista, ha di fatto aggiornato i contenuti di un libro già uscito trent'anni fa. Stavolta con una provocazione: il 15 maggio non rievoca solo Sant'Ubaldo, ma anche la vittoria del 1151 sulle undici città confederate guidate da Perugia. Non un semplice convegno, ma un vero match di idee. Pubblico numeroso, silenzioso e curioso. Qualcuno scettico, qualcuno già pronto a dire "finalmente".
Al tavolo del dibattito anche il sindaco Vittorio Fiorucci, che, pur non sposando la tesi, ha scelto una posizione equilibrata: rispetto per la ricerca, difesa della sacralità della festa, e l'accento sull'importanza dei Ceri come collante identitario per un'intera comunità.
Ambrogi ha fatto di più che parlare: ha mostrato un modellino, un piccolo ariete, ricostruito in una forma incredibilmente simile ai Ceri di oggi, per spiegare la sua teoria. Un congegno - di cui ha individuato le tracce storiche "leggendo" la colonna Traiana - capace di colpire due volte, sfruttando l'oscillazione di pesanti masse e da trasportare, prima dell'uso, inevitabilmente in verticale: l'immagine è potente e ancora più potente il parallelo con i Ceri che, secondo lo studioso e a giudicare dall'apparenza, avrebbero ereditato proprio quella forma. E lì, tra un "oh" di stupore e qualche sorriso di dubbio, si è capito che questa è un'ipotesi che colpisce davvero.
Di sicuro siamo di fronte a una ricostruzione affascinante, sulla quale serviranno altre ricerche, magari rovistando in quelle polverose carte che giacciono negli archivi di Stato e che attendono solo qualcuno disposto a leggerle. Perché sì, la sacralità delle tradizioni non va mai calpestata. Ma capire perché esistono, da dove arrivano, quale evento le ha generate, non le indebolisce: le rafforza. Dà spessore all'identità di una comunità.
E in questo Ambrogi e Farneti hanno fatto centro. Non hanno imposto l'ultima parola, ma hanno offerto un nuovo punto di partenza. Hanno messo un tassello che chiude un cerchio lasciato aperto per secoli, laddove tante teorie precedenti si fermavano sempre davanti a troppi interrogativi. E qui sta la vera notizia: Gubbio ha discusso, ha partecipato, ha riflettuto. E questo è già un altro grande atto d'amore verso i suoi Ceri.
Al di là delle ipotesi e delle interpretazioni, infatti, ciò che rimane è la forza di una tradizione capace di tenere viva la memoria e di dare forma a un rito collettivo che unisce le persone. La storia dei Ceri continua e continuerà a farci discutere e riflettere, con la stessa intensità con cui ogni anno fa vibrare una città intera.
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