UCRAINA-RUSSIA
Donald Trump, abituato a trasformare ogni vertice in un palcoscenico, si trova davanti a un copione che non può riscrivere. Credeva di poter imporre un accordo come fosse un contratto immobiliare, ma scopre che la realtà è molto più ostinata della sua retorica.
Putin non arretra: pretende la neutralità di Kiev, il controllo del Donbas e respinge qualsiasi garanzia europea, definita da Lavrov “inaccettabile”. Zelensky non cede sul territorio e insiste su garanzie vere, non su promesse vaghe. Così il presidente americano si accorge che questa partita non è un contratto da chiudere a colpi di tweet, ma un labirinto diplomatico in cui ogni passo rischia di far saltare il tavolo.
Trump minaccia nuove sanzioni, promette un summit trilaterale e, intanto, mette pressione a Kiev per rinunciare a Nato e Crimea. Ma ogni mossa appare un boomerang: la fermezza di Mosca ridicolizza la sua spinta negoziale; la resistenza di Kiev blocca i margini di compromesso. È il fallimento della semplificazione: Trump aveva immaginato di arrivare a una foto storica, invece si ritrova davanti a nodi che nessuno, finora, è riuscito a sciogliere.
Un filo di speranza, comunque, resta. Per altre due settimane. Parola di Donald.
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