Attualità
Si torna a parlare di riassetti territoriali in Umbria. Come nei primi anni ’80 del secolo scorso, quando il senatore Learco Saporito, Dc, si fece paladino della creazione della terza provincia umbra: Foligno, Spoleto e Norcia unite in un’entità chiamata FoSpoNo. Nome brutto, va detto, figlio della dottrina moralista democristiana che cercava di accontentare tutti, ma alla fine scontentava chiunque. Anche il destino le si accanì contro: fu più No che FoSpo. La provincia non nacque mai. E dire che ci andammo, comunque, vicino.
Ricordo che, nel 1986, il nostro giornale era pronto a uno scherzo che avevo proposto raccogliendo il consenso di tutti i buontemponi della sede centrale: uscire in edicola il primo aprile con la notizia bomba che la nuova provincia era stata istituita. L’invito? Correre alla Motorizzazione civile per farsi rilasciare le nuove targhe FS – Foligno e Spoleto. Il bozzetto c’era, lo spirito pure. Ma il direttore di allora, Sergio Benincasa, fresco di nomina, bloccò tutto, temendo che il nostro quotidiano, ancora giovane e fragile, sarebbe passato per foglietto da bar dello sport più che per testata autorevole. Ma veniamo a oggi. Si cambia la mappa e la sigla, non la musica.
Stavolta si parla di annettere Spoleto alla provincia di Terni e, magari, di unirci pure Norcia e la Valnerina. L’idea - già delineata da qualcuno una decina di anni fa - è stata rilanciata dal sindaco della città dell’acciaio, Stefano Bandecchi, che a Villa Redenta, a Spoleto, ieri l’altro ha arringato 200 persone come un predicatore laico: “È una battaglia giusta e possibile”, ha detto. E giù applausi. Sulla carta è legittimo. È giusto che i territori facciano sentire la loro voce, che i cittadini possano esprimersi, magari persino con un referendum. È una bella parola, referendum. Sa di partecipazione e di democrazia diretta. Un concetto che scalda i cuori, soprattutto quando la politica quella vera, quella istituzionale, fatica a dare risposte.
Ma la domanda sorge spontanea: serve davvero oggi tutto questo? Perché nel frattempo è cambiato il mondo. E anche l’Italia. Le Province, a furia di riforme e controriforme, sono state svuotate come le zucche ad Halloween. Hanno perso competenze, risorse, dignità. La vera partita, oggi, si gioca altrove: tra Comuni rafforzati e Regioni sempre più invadenti.
Quindi, rimescolare i confini provinciali nel 2025 non è come ridisegnare la mappa del Regno d’Italia nel 1861. È come litigare su chi debba pulire il cortile di un condominio che è già caduto a pezzi. E poi: l’alternativa a Perugia è davvero Terni? Bandecchi e altri parlano di “peruginocentrismo”, di un “re chiamato Perugia” dal quale affrancarsi e si propone la salvezza. Ma attenzione: per convincere tutti non basta gridare in salsa umbra Roma ladrona. Terni ha i suoi problemi. E Spoleto non può illudersi che cambiare bandiera basti per mutare il destino. In fondo, Spoleto resta città di confine, incerta tra mille identità e una viabilità che, verso Terni e la capitale, è in attesa da decenni di una valida alternativa ai tracciati dello Stato Pontificio. E in questa incertezza, forse, più che un referendum servirebbe una visione. Quella che nessuna sigla – né FoSpoNo, né FS, né TerSpoVa – potrà mai garantire.
La verità? Il campanilismo, in Umbria, è eterno. Ma oggi ha poco senso accendere fuochi in città in preda a tanti problemi e su colli e montagne che si ritrovano sempre più spopolati. Forse, più che ridisegnare confini, dovremmo ridare contenuti alle istituzioni. Perché se le Province sono gusci vuoti, chi ci dice che cambiare guscio serva a qualcosa?
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