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C'era una volta un emendamento partorito all'avvicinarsi del solleone: rincarare i pedaggi dal primo agosto.
Geniale, no? Una balzello sull'esodo. Poi arriva Matteo Salvini, che frena: "Va ritirato". E meno male. Perché mentre la maggioranza lo firmava in coro, il Paese già ringhiava.
Il rincaro era tecnico, certo, operato sulle virgole e non sulle cifre tonde. Non una batosta, quindi, ma comunque un aumento. Ma l'effetto era politico: uno schiaffo a famiglie, camionisti, pendolari.
Salvini, anche questa volta, ha fiutato il vento giusto: niente sabbia negli ingranaggi del consenso. Bene così. Ma resta il paradosso: una maggioranza che "fa piovere" compatta la stangatina e un ministro che, aperti gli occhi, deve correre col parafulmine. La toppa salva la faccia, ma il danno d’immagine resta.
Morale? Prima di mettere mano al portafogli degli italiani, meglio tastare il polso del Paese e, in questo caso, degli automobilisti. Magari non solo a luglio. E magari, ogni tanto, cari politici, guidate anche voi. Così vi accorgerete quanto già costano davvero 200 chilometri d’asfalto rovente. In carburante e - se si vuole almeno sperare di viaggiare un po’ più spediti che nel resto della rete viaria italiana e ridurre il numero di buche da evitare - in pedaggi.
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