POLITICA
Giorgia Meloni al summit della Nato
La recente svolta nell’Alleanza atlantica segna un momento storico: i Paesi Nato si impegnano, quindi, a destinare entro il 2035 il 5 per cento del Pil a difesa e sicurezza di cui il 3,5 per spese militari e 1,5 a infrastrutture, cyber e resilienza civile. Un salto tensionale, maturato di fronte alla minaccia russa e alle nuove sfide globali. Una decisione figlia anche della pressione americana, incarnata da Donald Trump, che ha minacciato ritorsioni verso chi non si allinea.
Eppure la Spagna, unica dei 32 a sfilarsi, ha frenato: resterà al 2,1% del Pil, con un accordo che le consente di non raggiungere l’obiettivo. Da Madrid si parla di “scelta ragionevole”, utile a salvaguardare il modello sociale. E in parte non le si può dare torto. Ma per l’Italia - almeno stando alle parole del nostro premier - è diverso. “La spesa militare e per la sicurezza – dice Giorgia Meloni – può crescere senza togliere un euro ai piani in atto del nostro welfare”.
E allora, democrazie come la nostra - che respingono la guerra, ma non la difesa - perché non dovrebbero prepararsi a ogni possibile traiettoria geopolitica? La Costituzione italiana parla chiaro: “ripudiamo la guerra”, ma non il “diritto a difenderci”. In un mondo dove i cluster di crisi si moltiplicano, il rischio di nuovi conflitti non è più un’ipotesi da romanzo distopico.
L’Italia deve colmare un vuoto: l’eccellenza professionale delle nostre forze armate non basta se manca la massa critica, se scarseggiano strutture, mezzi, logistica. Su questo Giorgia Meloni ha ragione: l’esercito va potenziato, per non trovarci impreparati. L’idea di un esercito europeo resta nobile, ma irrealistica nel breve periodo: l’Unione Europea non ha ancora strumenti decisionali né finanziari in grado di renderla operativa. Aspettare potrebbe voler dire arrivare tardi. La via pragmatica, oggi, è quella della Nato: aumenti graduali, roadmap tracciata, costi monitorati, obiettivi chiari. Una scommessa che può tenere insieme sicurezza, crescita e welfare.
La vera preoccupazione, semmai, non deve essere quella che questi investimenti militari tolgano risorse al sociale. Nessuno ha motivo di dubitare dell’impegno preso da un premier come Meloni con parole così nette. Il punto critico è un altro: il rischio che quel 5 per cento del Pil finisca - come troppo spesso accade - per pesare sulle spalle dei soliti noti, cioè quei pochi italiani che le tasse le pagano davvero. Se l’evasione fiscale venisse combattuta con lo stesso rigore che oggi chiediamo alla sicurezza, non ci sarebbero problemi: né per raggiungere quel 5 per cento, né per costruire un welfare finalmente efficace e moderno. Perché, in fondo, la pace non si garantisce solo con i valori. Si garantisce anche con i bilanci in ordine e con uno Stato che sa farsi rispettare.
Dentro e fuori i suoi confini.
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy