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MEDIO ORIENTE

Traballando col futuro in bilico

Sergio Casagrande

25 Giugno 2025, 12:11

Traballando col futuro in bilico

Dodici giorni di guerra, una dozzina di superbombe americane sui siti nucleari iraniani e la promessa improvvisa – a dir poco sorprendente – di una tregua di 12 ore. Donald Trump, dal suo altoparlante su Truth Social, ha proclamato un “cessate il fuoco completo e totale” tra Israele e Iran, a partire da sei ore dopo l’annuncio, per concludersi altre dodici ore dopo – dichiarando che “la guerra sarà considerata finita”. Un atto di fede nella parola d’un magnate politico, mediato dal Qatar, mentre ancora girava in cerchio l’eco delle bombe: contro basi nucleari iraniane, contro basi americane in Qatar, contro l’Iran stesso.

Ma la tregua ha mostrato le prime crepe subito. E, appena le sirene hanno penetrato il silenzio imposto apparentemente alle armi, sono arrivate le accuse reciproche.

Israele sostiene che l’Iran abbia lanciato missili verso nord meno di tre ore dopo, provocando morti a Be’er Sheva, e ha immediatamente reagito con raid su Teheran.

L’Iran nega ogni violazione e accusa Israele di aver già portato attacchi in tre ondate.

Trump, esasperato, ha ordinato a Israele di “riportare a casa i vostri piloti”.

E ora, che succede?

È qui che si apre un nuovo bivio decisivo, e quella iniziata oggi all’alba potrebbe essere una giornata determinante.

La tregua, infatti, comunque limitata a sole 12 ore, potrebbe durare: se le parti continueranno a rispettarla (e se lo avranno fatto anche nella notte appena trascorsa, quando questo giornale, però, era già andato in stampa), si potrà parlare di tregua definita – non una soluzione definitiva, ma l’inizio di una fase in cui diplomazia e dialogo tornano protagonisti.

Oppure anche questa speranza potrebbe dissolversi: i continui scambi di accuse, i raid improvvisi, la retorica che si inasprisce rendono tutto instabile.

C’è, poi, a margine, anche il rischio concreto di una “pausa armata”, un intermezzo strategico usato solo per riorganizzare le proprie forze.

Quello che sta accadendo in queste ore, quindi, potrebbe davvero essere il seme di un vero negoziato. Oppure tornare a essere solo un interludio nel teatro tragico della guerra. E oggi, come domani, potremmo svegliarci e trovarci di nuovo in guerra. Dipende tutto dalla capacità della diplomazia di trasformare la tregua in dialogo, il dialogo in accordo, l’accordo in pace duratura.

Di sicuro, in tutto questo, al momento ci sono solo tre interlocutori che possono decidere le sorti di questa guerra e, forse, del mondo: Donald Trump, di cui non è ancora chiaro se stia improvvisando o se abbia un vero piano d’azione; Netanyahu, il più determinato, con idee ben chiare e apertamente manifestate; e un gruppo di ayatollah e di sciiti che guida l’Iran, del cui potere reale - o effimero - nessuno conosce i reali confini.

Tutti gli altri stanno a guardare.

Ma chissà se è una fortuna...

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