MEDIO ORIENTE
“Ora ci sarà la pace o la tragedia.” Con questa frase Donald Trump ci ha scaraventati, in perfetto stile da reality apocalittico, dentro un territorio dove nessuno era mai entrato prima. Un terreno nuovo. Imprevedibile. Più instabile di quanto finora abbiamo potuto anche solo immaginare.
Non è il solito scacchiere del Medio Oriente, quello fatto di crisi cicliche e tregue precarie. O quello delle guerre del Golfo. È qualcosa di più ampio. Più pericoloso. Qui non siamo davanti a una possibile terza guerra mondiale, con alleanze tra Stati. Siamo davvero sul ciglio di una guerra globale: un conflitto che potrebbe combattersi non solo con eserciti, ma con religioni, culture, identità. In maniera sanguinosa come nei periodi più bui del Medioevo, ma con armi mai viste prima all’opera e capaci di andare oltre qualsiasi confine.
L’Iran, intanto, non si è arreso. Ha detto che la vera guerra comincia adesso. E, purtroppo, ha ragione. Perché ora viene il difficile.
Teheran è sola? Forse. Al momento può contare solo sugli Houthi che lanciano razzi dallo Yemen e su Hamas e Hezbollah, ridotti a brandelli. Ma quanto ci metteranno altri attori a entrare in scena? L’Asse sciita è in ginocchio, ma non è morto. È solo ferito. E poco importa se lo è gravemente.
Poi c’è l’incognita che ci tormenta dall’inizio di questo secolo: il terrorismo islamico, fatto di squadre addestrate e fanatici sciolti. Silente, dormiente, ma mai davvero spento.
Trump avverte: “Molti obiettivi restano”. Ma forse, stavolta, l’obiettivo siamo noi. Tutti. Perché ogni risposta, da un lato o dall’altro, può innescare l’escalation. Il domino. La scintilla finale.
Trump, quindi, ora bombarda e contemporaneamente chiede la pace e la benedizione di Dio. Ma una pace estorta con la minaccia della distruzione totale, come si faceva ai tempi degli imperi che gridavano “arrenditi o sparisci”, in Medio Oriente non ha mai funzionato. E mai funzionerà.
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