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POLITICA

Video Lapis - Colpire la mente per governare il silenzio

Sergio Casagrande

03 Giugno 2025, 18:45

Colpire la mente per governare il silenzio

C’era una volta l’America. Quella delle grandi promesse. L’America delle idee, delle invenzioni, della ricerca, della libertà. Poi è arrivato Donald Trump. E, con lui, una parabola politica che, partita a razzo fra applausi e speranze (almeno a parole), sembra ora scendere in picchiata, trascinando con sé proprio ciò che aveva reso grande quella bandiera a stelle e strisce: il pensiero libero.

Sì, perché tra dazi sventolati come trofei e confini sbarrati come fortezze medievali e l’apprezzabile e, tutto sommato, anche encomiabile impegno sul fronte della pace nel vicino Oriente e in Ucraina (anche se per ora, purtroppo, inconcludente - ma restiamo fiduciosi e, su questa linea, tifiamo per lui), oggi il nuovo fronte aperto dalla Casa Bianca è quello, clamorosamente sbagliato, delle università.
Il presidente-tycoon ha puntato i cannoni contro gli atenei americani, accusandoli - con un livore da inquisizione più che da amministrazione - di essere focolai di pensiero deviato. Tradotto: troppo critici, troppo liberi, troppo… svegli, come direbbe qualche ex sessantottino di casa nostra. Così, dopo aver tolto la certificazione a Harvard per i suoi programmi di accoglienza degli studenti stranieri, l’amministrazione Trump ha deciso di passare all’artiglieria pesante: ambasciate e consolati sono pronti a bloccare i colloqui per il rilascio dei visti di studio. Un atto che - da semplici osservatori - non possiamo non giudicare oltre la normale dialettica politica: perché è un colpo al cuore della formazione, della scienza, della libertà intellettuale.
È come se si volesse fermare il vento chiudendo le finestre.
E che dire della motivazione ufficiale? Il mancato contrasto all’antisemitismo durante le proteste per Gaza. Una giustificazione che suona più come una foglia di fico su un corpo già nudo: troppo sottile per coprire l’intento vero. Perché il vero bersaglio non sono gli studenti violenti o i professori conniventi, ma la cultura universitaria in sé, percepita come troppo “liberal”, troppo “woke”, troppo scomoda per il pensiero unico della nuova destra americana.
Peccato che proprio quegli studenti stranieri che Trump vorrebbe rispedire al mittente costituiscano oggi, come ieri, la spina dorsale della ricerca scientifica statunitense. Ingegneria, informatica, medicina: in molte discipline la maggioranza dei ricercatori è straniera. E non per buonismo o quote etniche: semplicemente, sono i migliori. E i migliori andavano in America, finora, perché lì trovavano spazio, risorse e stimoli.
Ora invece si chiudono le porte. Non solo agli studenti, ma probabilmente anche ai professori in visita, ai ricercatori in transito, agli scambi culturali. E si comincia a parlare persino di controllare i profili social dei candidati, come in una distopia orwelliana a stelle e strisce.
Se non è censura preventiva questa, ci manca poco.
Eppure, in tutto questo desolante scenario, una luce si intravede. Ed è europea. Se gli Stati Uniti vogliono voltare le spalle al mondo, allora il mondo - e in particolare l’Europa, e perché no, anche l’Italia con le sue università, alcune tra le più antiche (in senso anagrafico) al mondo - può cogliere l’occasione. Accogliere quegli studenti, offrire spazi ai ricercatori respinti, trasformare i nostri atenei da periferia del sapere a nuovo centro del pensiero globale.
Sarebbe un’occasione di riscatto. Non solo culturale, ma anche civile e politico. L’Europa potrebbe tornare a essere laboratorio di idee, patria di nuovi Einstein e nuovi Steve Jobs, come lo fu in passato, prima che fuggissero verso l’America dei sogni.
Comunque, tornando all’inizio del nostro ragionamento, non è un problema esclusivamente politico o di parte.
Donald Trump, simpatico o antipatico che sia, nel suo tentativo di rendere l’America great again, su questo tema specifico, sembra dimenticare che la grandezza non si costruisce con i muri, ma con le menti. E colpire l’università è come spegnere la luce in una stanza piena di finestre: un gesto che non rende più sicuri, ma soltanto più ciechi.
Perché chi spegne il pensiero oggi, domani si troverà un giorno a governare il buio

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