GIORNALISMO IN LUTTO
Non è facile mettere da parte la penna del cronista e usare quella di chi deve raccontare la perdita di un collega. E, soprattutto, di un amico.
In questi casi c’è pure l’alta probabilità che chi ti legge pensi che sia solo retorica, e questo è ancora più insopportabile.
La forza la trovo solo sapendo che, se c’è qualcuno che ha conosciuto la persona di cui scrivo, sa che queste non sono parole di circostanza, ma di sincero dolore per una perdita inattesa quanto dolorosa e di altrettanto sincero ricordo dei suoi valori.
A poco più di un anno dalla scomparsa di Mauro Barzagna, alla nostra redazione – e all’intero Gruppo Corriere – viene a mancare un’altra delle sue colonne portanti: Riccardo Regi.
Riccardo era un professionista instancabile. Un cervello fine. Un geniale architetto di strategie editoriali. E, soprattutto, un uomo capace di lavorare per ore e ore con lo stesso sorriso sulle labbra che, anche nei giorni peggiori, non ha mai smesso di regalare a chi aveva accanto.
Riccardo era giornalista professionista dal 1990. In seguito, per 18 anni è stato vicedirettore dei quotidiani del nostro Gruppo: Corriere dell’Umbria, Corriere di Arezzo, di Siena, di Maremma, di Viterbo e di Rieti.
Un riferimento per tutti, anche per me, che ho avuto il privilegio – per lunghi tratti di strada – di averlo accanto e a stretto contatto non solo come collega, ma anche come consigliere e, sì, anche come amico. Di quelli veri, che andrebbero scritti con la A maiuscola. Con cui, per il carattere, ci si può a volte anche scontrare, ma che non vengono mai meno alla correttezza nei rapporti e non ti lasciano mai da solo, neppure quando attraversi un momento critico e di sconforto perché, per questioni più di principio che professionali, sei caduto in disgrazia agli occhi del tuo editore e ti ritrovi a girare tutte le sedi più lontane senza più una possibilità apparente di poter tornare. E se nasceva con qualcuno un’incomprensione nei rapporti professionali, perché c’erano ruoli e compiti da dover esercitare, era il primo a cercare di nuovo il dialogo.
Ecco, Riccardo aveva una grande capacità: riusciva a farti vedere una luce anche in un tunnel che magari anche lui, di nascosto, temeva essere senza uscite. E ti trasmetteva puntualmente l’energia giusta per arrivare fino al punto che quella luce, alla fine, si accendeva sempre e davvero.
La sua collaborazione con il Gruppo Corriere risaliva agli albori delle nostre testate, quando accettò un invito a scrivere dal nostro Leonardo Malà, suo grande amico, e Sergio Benincasa era il direttore. Il progetto editoriale del Corriere dell’Umbria era ancora una scommessa, mentre quello del Corriere Aretino (poi Corriere di Arezzo) muoveva i primi passi e serviva gente capace, brillante e coraggiosa.
Lui c’era dal 1986: prima, per un breve periodo, a Perugia; e, poi, ad Arezzo. E nel 1997, dopo una parentesi nell’insegnamento scolastico e in altre testate – tra cui la direzione del Settimanale dell’Umbria – tornò al Corriere dell’Umbria da caporedattore centrale di tutte le testate della nostra famiglia, poi da vicedirettore del Gruppo, a fianco del direttore Federico Fioravanti, che lo volle con sé in un’ambiziosa quanto efficace opera di rilancio e ristrutturazione.
Attualmente, raggiunta la pensione, continuava a collaborare con noi, curando le pagine di Album, ed era direttore di Vivoumbria.it, sito di informazione culturale che portava avanti con la passione e la visione lungimirante che lo hanno sempre contraddistinto.
Quest’ultimo progetto non era nato per caso: era l’evoluzione naturale di un’idea geniale che Riccardo aveva già realizzato all’interno del nostro giornale con Vivere d’Umbria, uno degli inserti più amati dai nostri lettori. Un appuntamento settimanale che si era poi trasformato in pagine quotidiane. Una piccola grande rivoluzione culturale nel panorama dell’informazione regionale.
Anche negli ultimi mesi, mentre le forze cominciavano a venir meno per colpa di una malattia improvvisa e bastarda, Riccardo non ha mai smesso di lavorare. Ha continuato a contribuire alle pagine di Album per il Corriere, con la solita dedizione e quella voglia di fare che sembrava inarrestabile. Nonostante le cure. Nonostante tutto. Nonostante gli chiedessi di dedicarsi a sé e alla sua famiglia, continuava a ripetermi: “Finché posso vado avanti, serve anche a me e serve al Corriere. Dillo ai colleghi che sono io a chiederlo e digli che nessuno deve preoccuparsi per me. È il modo migliore per sentire che il giornale mi è vicino in questa battaglia. E mi dà forza…”.
Era fatto così: se c’era da tirare avanti, tirava avanti. Per lui, per noi, per il giornale.
Non ha mai smesso di essere un giornalista. Nemmeno un solo giorno.
In redazione ha sempre esercitato i suoi ruoli con l’esempio. E, soprattutto, era il primo a tendere una mano, a dire una parola giusta a chi stava attraversando un momento difficile o era in difficoltà nel lavoro di redazione. Non c’era collega, soprattutto tra i più giovani della squadra, che non lo cercasse per un consiglio o anche solo per un caffè che diventava rifugio e lezione di vita insieme.
La sua perdita è pesante. Molto più pesante di quanto oggi riusciamo forse a capire. Ma quello che ci ha lasciato – in idee, in affetto, in esempio – non andrà mai perso.
Alla cara Sabrina, sua compagna di vita e nostra collega, ai figli, ai familiari tutti, va l’abbraccio più profondo e sincero di tutta la nostra redazione. Di tutta la grande famiglia del Corriere.
Ciao Riccardo. Scriverlo appare scontato, ma stai sicuro che è vero: non ti dimenticheremo mai. Grazie da tutta la squadra.
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