Attualità
C'è quella foto che dice tutto e, forse, niente: Donald Trump e Volodymyr Zelensky seduti uno davanti all'altro, nella basilica di San Pietro, mentre il mondo saluta Papa Francesco.
Un'immagine che sembra uscita da un vangelo laico: due uomini che si erano azzuffati come pugili nella Casa Bianca, ora seduti sotto la cupola di Michelangelo, a un passo dalla tomba del dialogo eterno. In mezzo a loro, a un certo punto, c'era anche una sedia vuota. Un dettaglio? No. Un segno. Chi doveva sedersi lì? Macron, l'interprete, il diavolo, Dio?
Meglio nessuno. Sarebbe stato meglio lasciare lì quella sedia, vuota, a indicare una presenza più potente di qualsiasi politico: Papa Francesco e, alle sue spalle, San Francesco di Assisi. Uno seduto, l'altro in piedi, con una mano sulla spalla: testimoni silenziosi di un possibile miracolo.
Perché il vero miracolo non è che due leader si incontrino: è che riescano a parlarsi senza insultarsi. È che lascino cadere le armature, che accettino di essere uomini prima che generali. Questo insegnava il poverello di Assisi: la pace comincia dentro di te. Prima di firmare trattati, prima di conquistare capitali, devi conquistare te stesso.
Non era forse lui, Francesco, che ammansì il lupo di Gubbio senza versare una goccia di sangue, ma solo con la forza del dialogo? Non era lui che ad Arezzo cacciò i demoni della guerra civile pregando e riportando pace tra cittadini avvelenati dall'odio? E non si avventurò forse fino a raggiungere il sultano, in piena crociata, senza spada né scorta, solo con la parola mite di chi credeva che nessun uomo è mai un nemico per sempre?
Papa Francesco, in tutto il suo pontificato, non si è mai stancato di ripeterlo: dialogare, ascoltare, incontrarsi. Non vincere, non piegare. E questa foto, oggi, ce lo ricorda come una bandiera piantata nella storia.
Certo, si deve essere realisti: al momento possiamo solo sperarlo. È bello pensare che, in quell'incontro, si sia accesa una scintilla di pace. Ma i fatti veri si vedranno nei prossimi giorni. O forse mai. Intanto, però, almeno una speranza c'è. E già solo poterci credere, in tempi di cuori spenti e animi avvelenati, è un piccolo miracolo che vale la pena custodire.
Perché la pace, prima di essere un trattato, è una scommessa sulla bontà dell'uomo.
E se Trump e Zelensky sono riusciti a sedersi uno davanti all'altro a San Pietro, allora, forse, Francesco - quello di Roma e quello di Assisi - hanno vinto ancora una volta.
Per ora resta, quindi, la speranza. Una speranza fragile come una candela accesa nel vento. Ma è già molto. È il segno che, contro ogni evidenza e contro ogni cinismo, vale ancora la pena credere nella forza disarmata del dialogo. E nella profezia di un povero di Assisi che, senza armi né eserciti, cambiò il mondo. Quel mondo che, forse, oggi è riuscito a cambiare anche chi, sulla tomba, ha scritto il suo stesso nome: Franciscus.
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