IL CASO
Andrea Prospero
“La tragedia di Andrea sia un monito per tanti ragazzi che in rete non trovano l’oceano in cui navigare ma piuttosto un abisso profondo ed estremamente pericoloso”. Le parole dell’avvocato Francesco Mangano, che parla a nome della famiglia di Andrea Prospero, studente trovato morto a Perugia, non sono solo un epitaffio per un giovane spezzato troppo presto, ma un grido di allarme che dovrebbe risuonare nelle orecchie di genitori e ragazzi. L’illusione del web come terra promessa della socialità si sgretola di fronte a drammi come questo. Andrea, 19 anni, universitario fuori sede, ha trovato nella rete un confidente, un presunto “amico” conosciuto attraverso uno schermo. Ma quell’“amico”, invece di salvarlo, lo avrebbe – secondo l’accusa degli inquirenti - spinto sempre più a fondo, fino al punto di non ritorno. Il diciottenne romano finito ieri mattina agli arresti domiciliari non avrebbe solo ignorato il dovere morale di aiutare Andrea, un ragazzo in difficoltà, ma – sempre secondo l’accusa – lo avrebbe addirittura istigato al suicidio, consigliandogli come farlo, convincendolo che fosse la scelta giusta, e, infine, preoccupandosi solo di non riuscire a cancellare le proprie tracce. Ecco la nuova frontiera del pericolo: le amicizie virtuali. Sui social, nei gruppi che nascono via web, nelle chat anonime si creano legami che hanno la consistenza dell’aria ma il potere devastante di una valanga. C’è chi cerca conforto e trova il nulla, chi cerca ascolto e trova silenzio, chi cerca aiuto e trova chi lo spinge giù.
Andrea si è fidato, ha raccontato le sue insicurezze, il suo disagio per la vita universitaria. In cambio, ha ricevuto una spinta verso il vuoto. L’indagine condotta dalla Procura di Perugia conferma l’esistenza un mondo parallelo dove farmaci oppiacei si acquistano con un click e arrivano senza che nessuno se ne accorga, dove gli incitamenti alla morte viaggiano sotto falso nome, e dove un diciottenne può giocare a fare il guru della disperazione. Andrea aveva cinque telefoni. E se a noi tutto questo sembra assurdo, per tanti ragazzi è la normalità. Tutti i genitori dovrebbero tremare davanti a questa storia. Perché Andrea non era uno sbandato, non era un emarginato. Era un ragazzo come tanti, che studiava, che aveva una famiglia che lo amava, che non aveva e non mostrava ai suoi cari segni evidenti di disagio. Eppure, è caduto nella trappola. Se è successo a lui, può succedere a chiunque. Oggi tutti piangiamo Andrea, ma il problema resta.
Il web è un oceano, sì, ma pieno di squali. E se non insegniamo ai ragazzi a navigarlo nella maniera più giusta e sicura, finiranno per affogare. Un problema che non dovrebbero affrontare solo i genitori o il mondo della scuola, ma l’intera società.
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