ELEZIONI REGIONALI
Stefania Proietti festeggia in piazza Italia a Perugia
Lo ha fatto penare a lungo, ma lo ha portato alla vittoria in meno di due mesi di campagna elettorale. Stefania Proietti ha vinto e il campo largo è in trionfo.
L’Umbria, dopo cinque anni di governo di centrodestra, ritorna quindi al centrosinistra. Eppure, il successo non era affatto scontato.
Stefania Proietti si è presentata promettendo discontinuità non solo rispetto agli avversari, ma anche rispetto agli errori del passato del suo stesso schieramento che era stato costretto a lasciare palazzo Donini, in fretta e furia, nel 2019 per lo scandalo della sanità e dopo quasi mezzo secolo di governo regionale ininterrotto. Niente più lottizzazioni, ha detto chiaramente più volte la candidata e sindaca di Assisi, niente partiti padroni: “Io sono una civica e sarò la garanzia”.
Una promessa che, a quanto pare, ha fatto breccia in chi ha deciso di votare. Ma chi ha deciso di votare, appunto, è una minoranza sempre più esigua.
L’astensionismo, il grande protagonista di ogni tornata elettorale recente, stavolta si è fatto sentire pesantemente anche in Umbria che, tutto sommato, si era sempre distinta per non aver subito crolli vertiginosi.
Quasi la metà degli aventi diritto al voto, questa volta, ha preferito restare a casa, in un gesto che grida disillusione e sfiducia.
Non sapremo mai se è stato un atto di protesta contro la politica in generale o un segnale specifico verso i partiti, ma una cosa è chiara: rischiamo di avere sempre più maggioranze di governo scelte da minoranze.
Tutto democratico, per carità, ma lontano da quello spirito del secondo comma dell’articolo 48 della Costituzione che ci ricorda che votare è un dovere civico.
Il centrodestra, intanto, è stato preso in contropiede. Convinto di avere un vantaggio grazie alla concretezza di Donatella Tesei e al supporto di Giorgia Meloni e dei ministri del governo che sono arrivati a catena a dar man forte alla campagna elettorale della governatrice ricandidata, i suoi leader nazionali e locali non hanno forse percepito il malcontento che, invece, si era diffuso.
A livello nazionale, la coalizione non subirà ripercussioni. Ma il risultato umbro non va sottovalutato perché è, comunque, il campanello d’allarme di qualcosa che non ha funzionato secondo i piani.
Tesei ha puntato tutto su fatti e progetti, evitando polemiche e schermaglie personali, ma non è bastato.
Il tema della sanità, il vero tallone d’Achille della sua amministrazione, è stato sfruttato abilmente dal centrosinistra, che ha saputo cavalcare l’insoddisfazione degli elettori su liste d’attesa infinite e una gestione considerata da molti carente.
Dall’altra parte, però, va detto che anche Stefania Proietti ha rischiato grosso. Per mesi ha lasciato nel dubbio tutti i partiti che la corteggiavano, rifiutando proposte e temporeggiando. Solo dopo Ferragosto ha accettato la candidatura, con un tempismo che sembrava troppo tardivo per mettere in piedi una macchina elettorale efficace da far partire a spron battuto il 21 settembre, giorno della indizione delle elezioni. E, invece, per lei tutto è filato liscio, o almeno così sembra. Ora il centrosinistra può brindare a una vittoria che sembrava impensabile fino a pochi mesi fa.
Dopo Perugia e l’Umbria, i successi si sommano anche a livello nazionale, con Sardegna ed Emilia Romagna. E il campo largo inizia a far apparire i tratti di una strategia concreta invece che di un’utopia. Ma attenzione: le divisioni interne restano e, senza una guida forte e condivisa, il rischio di implodere è sempre dietro l’angolo. Schlein si rafforza nel suo Pd, ma avrà ancora molto da faticare per far dialogare tra loro i leader delle altre forze che possono formare una coalizione competitiva. E mentre i vincitori festeggiano e gli sconfitti si leccano le ferite, l’astensionismo resta lì, come un monito.
Governare con il voto di una minoranza mobilitata è legittimo, certo, ma quanto può durare un sistema in cui sempre più cittadini scelgono di non scegliere?
Se la politica vuole ritrovare credibilità, deve smettere di considerare i non votanti come un problema marginale.
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