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Alienati e sopraffatti

Sergio Casagrande

09 Settembre 2024, 16:44

Alienati e sopraffatti

Il malessere giovanile è un tema sempre più attuale, spesso evidenziato da episodi di violenza o alienazione che lasciano sconcertati, come il caso del giovane pluriassassino che ha sterminato la sua famiglia senza una motivazione apparente, giustificandosi con un generico malessere.

Ci chiediamo come sia possibile che un ragazzo ancora minorenne possa compiere atti di questa estrema gravità.

Forse la risposta non è così lontana o complessa: basterebbe guardarci attorno, osservare le dinamiche quotidiane in cui crescono i nostri figli. E quelle che riguardano anche noi adulti ai quali dovrebbero spettare l’insegnamento e l’esempio.

Ieri mattina, in un noto centro commerciale dell’Umbria, una scena, ripetutasi incredibilmente a catena nel giro di pochi minuti, mi ha particolarmente colpito.

Un bambino, seduto dentro l’abitacolo di un carrello a forma di automobilina, è lasciato solo al centro della stanza principale di un altrettanto noto negozio di abbigliamento, con un telefonino in mano, ipnotizzato dai video che scorrono sullo schermo.

La madre è altrove, immersa nella frenesia dello shopping, separata fisicamente ed emotivamente dal figlio.

Questa scena non è isolata: nel medesimo negozio, ma in stanze differenti, ci sono altri due bambini, anch’essi parcheggiati in identici carrelli, maneggiano uno smartphone: uno è intento a guardare video, l’altro immerso in un videogioco.

Tutti e tre i piccoli sono lasciati dalle mamme a loro stessi, affidati a una tecnologia che, anziché essere uno strumento di intrattenimento temporaneo, diventa una sorta di surrogato della presenza genitoriale, oltre che una sicurezza che i bimbi restino apparentemente tranquilli in un carrello il cui aspetto ludico e simpatico potrebbe non bastare a garantire la stessa necessità.

Queste immagini non credo rappresentino solo episodi di vita quotidiana: dovrebbero far riflettere su un fenomeno più ampio che, probabilmente, coinvolge l’intero tessuto sociale e, in particolare, le famiglie.

Se un singolo episodio può essere considerato un indizio; due che accadono contemporaneamente potrebbero essere l’indicazione di una tendenza preoccupante; tre, allora potrebbero anche costituire una certezza: se osserviamo attorno a noi ci sono i segnali evidenti di una distanza crescente tra genitori e figli, un’alienazione che non avviene in modo brusco o violento, ma si insinua in modo silente e progressivo nella vita di tutti i giorni.

La società di oggi è dominata dalla tecnologia, che, se da un lato facilita le nostre vite, dall’altro sta erodendo il tempo e la qualità delle relazioni umane, soprattutto quelle più intime e fondamentali, come quelle tra genitori e figli. Ma non solo.

I bambini crescono circondati da schermi e distrazioni digitali che, in apparenza, li tengono tranquilli, ma in realtà li privano di quel contatto umano essenziale per lo sviluppo emotivo e psicologico.

Il risultato potrebbe essere davvero di una generazione che, pur essendo iperconnessa, si sente sola, disorientata, alienata. E, allora, forse non è un caso che molti giovani descrivano un malessere diffuso, una sensazione di vuoto e di perdita di senso, che in alcuni casi estremi può sfociare in atti di violenza. Ma questa alienazione potrebbe non riguardare solo i ragazzi, ma anche i genitori e tutti gli adulti, sempre più assorbiti da un modello di vita frenetico e consumistico, dove il tempo per l'ascolto e la cura delle relazioni viene costantemente sacrificato.

La figura dei bambini parcheggiati con il telefono temo sia il simbolo di una crisi più profonda. Stiamo perdendo il valore dell’interazione umana. E se qualcuno di noi comincia a finire in balìa di un malessere indefinito, ma anche altamente pericoloso, non dobbiamo meravigliarci. Ma ribellarci. Ribellarci a un sistema che ci ha sopraffatto.

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