L'editoriale
Venti anni fa, il 26 agosto, l’Italia apprese la tragica notizia della morte di Enzo Baldoni, giornalista pubblicista, blogger, pubblicitario e aiutante volontario di missioni umanitarie. Abitava a Milano, ma era nato a Città di Castello. E in Umbria, in particolare a Preci, vivevano i suoi parenti. Di lui si erano perse le tracce in Iraq il 19 agosto 2004. Della scomparsa di Baldoni a noi del Corriere ci avvisò il collega Pino Scaccia, inviato della Rai, uno degli ultimi a vedere in vita il giornalista umbro. All’epoca ero capocronista e Pino ci consigliò di sentire Enrico Deaglio, direttore di Diario, per il quale Baldoni scriveva alcuni servizi ed era accreditato in Iraq.
Il primo giorno mettemmo la notizia in prima pagina, ma di taglio, perché nessuno, inizialmente, aveva compreso la reale gravità di quanto era accaduto. Poi, giorni dopo, si scoprì che, nei pressi di Najaf, Enzo Baldoni era stato rapito il 21 agosto dall’Esercito islamico dell’Iraq, una sedicente organizzazione estremista ritenuta legata ad al Qaida. E che, durante la sua cattura, era stato ucciso Ghareeb, l’interprete che lo aiutava negli spostamenti in Iraq.
La scomparsa di Baldoni avvenne in circostanze drammatiche e ancora oggi la dinamica del rapimento rimane incerta. Di sicuro fu ucciso dopo che il gruppo jihadista aveva rivelato il suo sequestro: il 24 agosto Al Jazeera diffuse, infatti, un video che lo mostrava prigioniero, con i suoi rapitori che chiedevano il ritiro delle truppe italiane entro 48 ore. In caso contrario Baldoni sarebbe stato giustiziato. Il governo italiano non accettò l’ultimatum.
L’Italia, allora parte della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti durante la seconda guerra del Golfo, non cedette, quindi, al ricatto. La notizia dell’esecuzione fu data nella notte di quel 26 agosto da Al Jazeera. I giorni della sua scomparsa, del suo rapimento e quelli seguenti alla sua morte furono un calvario, soprattutto per la sua famiglia, costretta, oltre che a vivere nell’ansia, a leggere e a sentire di tutto e di più sul loro Enzo. Di Baldoni c’è perfino chi arrivò a denigrarne l’impegno, la passione e lo spirito di solidarietà che tutti gli amici e i conoscenti gli riconoscevano.
In tanti, troppi, approfittando del fatto che Baldoni svolgeva il suo ruolo di giornalista da freelance e non aveva una prestigiosa testata di riferimento pronto a difenderlo, fecero diventare la sua vicenda contemporaneamente un caso per intavolare una lotta politica e per giustificare clamorosi errori.
La storia di Enzo Baldoni rimane una ferita aperta nella memoria collettiva italiana; una testimonianza delle contraddizioni e degli errori di certi modi di fare politica e degli abbagli che può prendere una stampa partigiana; un tragico esempio dei pericoli che affronta chi decide di raccontare in prima linea il mondo anche nelle sue sfaccettature più oscure e pericolose.
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