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Cronaca

Lasciano punta del trapano nel femore della paziente: due medici condannati a pagare dalla Corte dei Conti

La donna non fu informata dell'incidente dopo l'operazione, anni dopo si è ritrovata con la testa dell'osso in necrosi. I due professionisti all'epoca in servizio al San Giovanni Battista hanno scelto il rito abbreviato

Giulia Silvestri

10 Giugno 2025, 16:48

corte dei conti

I due medici, citati in giudizio dalla Corte dei Conti, hanno scelto il rito abbreviato

Viene operata al femore, ma durante l’intervento la punta del trapano si spezza e al suo risveglio nessuno la informa che è stata lasciata al suo interno. E’ successo all’ospedale di Foligno nel maggio del 2006 dove all’epoca dei fatti erano in servizio i due medici che, citati in giudizio, davanti alla sezione giurisdizionale per l’Umbria della Corte dei Conti hanno scelto il rito abbreviato, e hanno pagato 3.260 euro all’Usl Umbria 2. Azienda che per quel fatto – dopo un accordo stragiudiziale con la parte - aveva sborsato un risarcimento di 8 mila euro alla paziente vittima della negligenza dei due professionisti, al tempo dirigenti medici nella disciplina di ortopedia e traumatologia al San Giovanni Battista.

Sentenza alla mano, l’episodio risale al maggio del 2006 quando la donna, ricoverata al nosocomio folignate “per frattura sottocapitata del collo del femore”, era stata sottoposta a un intervento di osteosintesi, “concluso con la ritenzione di corpo estraneo”. Durante l’operazione, infatti, la punta di un trapano, “di due millimetri di diametro”, si è “accidentalmente” spezzata all’interno del collo femorale, “senza che i sanitari riuscissero dopo vari tentativi a estrarre il pezzo metallico”. “L’atto chirurgico veniva ugualmente portato a termine con l’applicazione di viti e placche - si legge - dimettendo successivamente la degente senza comunicare alcunché riguardo all’incidente occorso”.

E’ stato poi nel 2010 che “a causa di persistenti dolori all’anca sinistra” la donna ha deciso di rivolgersi a un altro ortopedico che, dopo aver esaminato i referti degli esami radiologici, “rilevava la presenza del frammento metallico di tre centimetri e l’impossibilità di procedere alla risonanza magnetica nucleare necessaria per verificare l’insorgenza di necrosi”. Necrosi, per la precisione della “testa del femore sinistro”, che le sarebbe stata diagnosticata solo nel 2012 quando si è ricoverata in una casa di cura di Perugia, e che ha richiesto una “artoprotesi totale”, ovvero la sostituzione dell’articolazione danneggiata. Così nel 2015 la paziente ha chiesto un risarcimento alla Usl Umbria 2, per la quale, dopo consulenza medico-legale interna, “data l’evidenza della ritenzione del corpo estraneo e l’omissione dell’obbligo informativo, - si legge in sentenza - andava riconosciuto un periodo di sei mesi di inabilità temporanea a causa del ritardo nell’effettuazione dell’esame Rmn (la risonanza magnetica nucleare, ndr) che ha determinato la posticipazione della diagnosi di necrosi e del conseguente trattamento sanitario”.

Da qui, il disco verde arrivato dal Comitato gestione sinistri dell’azienda a un risarcimento di 8 mila euro, corrisposto alla paziente nel 2018. La procura della Corte dei Conti aveva quindi citato in giudizio i due professionisti per danno erariale indiretto conseguente alla transazione stragiudiziale, chiedendo la condanna al pagamento di 6.400 euro per un medico e 800 euro per l’altro. Entrambi, attraverso il proprio legale, hanno chiesto di poter accedere al rito abbreviato, offrendo il pagamento “in unica soluzione” rispettivamente di 2.880 e 380 euro, pari al 45% e al 47% dell’addebito. Richiesta che ha ricevuto il parere favorevole della Procura ed è stata accolta dai giudici della Corte dei Conti

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