Curiosità
Giampiero Pagliochini in piedi sopra alla sua moto Ktm
Se avete un sogno nel cassetto, aprite il cassetto e tirate fuori il sogno. Realizzatelo. Era ottobre del 2013 quando Giampiero Pagliochini, originario di Gualdo Cattaneo, ha cambiato la sua vita. E’ probabilmente tra gli italiani che ringraziano la professoressa Fornero per la sua legge che gli ha consentito di andare in pensione a 54 anni dopo 36 di lavoro, di cui 6 riconosciuti altamente pericolosi per il continuo contatto con l’amianto. Finalmente, da quel giorno, ha potuto dare piena attuazione alla sua passione, anzi le due passioni: la motocicletta e i viaggi. Messe insieme fanno 160 paesi visitati e 1 milione e 200 mila chilometri percorsi, ovvero 30 volte il giro della sfera terrestre.
Solo poche settimane fa è tornato dal Kirghizistan raggiunto (sempre e solo in moto) passando per l’Uzbekistan, il Kazakistan, la Russia, la Georgia e la Turchia. Un viaggio che è prima di tutto incontro con uomini e culture, avventure e imprevisti, conoscenza di usi e costumi che a volte possono salvarti la vita o evitarti una prigione perché hai fatto una foto che non dovevi, fornito una spiegazione inconcludente. “Il viaggio è prima di tutto dentro di te - racconta Giampiero - devi avere rispetto di tutti e di tutto, capire gli usi di ogni popolazione, spesso i confini geopolitici non corrispondono a quelli delle persone, devi conoscere anche un po’ di storia dei luoghi dove vai”.
Chi va in pensione cerca magari una vita tranquilla, gioca a carte, fa le passeggiate, gioca con i nipoti… non mi pare il tuo caso. “Una passione che avevo, sono cresciuto in una famiglia dove la motocicletta è stata sempre presente, mio nonno e mio padre erano appassionati e me l’hanno trasmessa. Quello che volevo, scegliendo di andare in pensione ancora giovane, era la disponibilità del tempo, una cosa che nessuno ti può dare: non che prima non viaggiassi con la moto, riuscivo a ricavarmi qualche settimana, mettendo insieme le ferie di un anno, oggi che dispongo del mio tempo i viaggi durano mesi e mesi, insomma quello che decido io”.
La cultura dei figli dei fiori ha evidentemente lasciato il segno, anzi lo ha colto nell’aspetto avventuroso; Giampiero ha ereditato l’idea on the road, una strada aperta da Kerouac e seguita poi da molti, non sempre e solo con una moto. Lui ama la tecnica, i motori, li conosce a menadito, soprattutto quello della sua fidata Ktm, che smonta e rimonta ad occhi chiusi: non beve, non fuma e fa una vita sana, si allena in bicicletta per mantenere il suo fisico in forma, stare in sella ore e ore non è facile e richiede una buona condizione fisica.
Riprende il suo racconto: “Ricordo che quando mi hanno telefonato era il 2 settembre 2013 e mi trovavo in India, mi dissero che dovevo firmare tassativamente il 16 settembre. Ho lasciato la moto da un amico a Mumbay, ho preso un aereo e sono tornato a casa, ho lavorato fino al 29 settembre, ultimo giorno di lavoro all’Enel, l’indomani ho ripreso l’aereo e sono tornato in India, ho ritirato la moto e continuato il mio viaggio. Sono andato in pensione senza nessun incentivo, l’Enel non voleva che me ne andassi, appartenevo ad un nucleo tecnico specializzato e non era facile sostituirmi, ma avevo troppa voglia di prendere il mio tempo, la mia libertà e gestirmi a modo mio” .
Raccontaci qualche aneddoto, immagino che ne avrai tanti da ricordare… “Burkina Faso, in mezzo al nulla vedo alla mia destra una piccola collina che sembrava una groviera da tanti buchi che aveva, e anche lungo il sentiero, sul piano c’erano scavi o buchi da tutte le parti. Vedo ad un certo punto tanti ragazzi con, sporchi spossati, il corpo incrostato di terra rossastra e da uno di questi buchi esce un ragazzo, che poi ho scoperto chiamarsi Ismail, anche lui ricoperto di fanghiglia, con una torcia legata sulla testa, mi fermo pensando che avessero bisogno di aiuto e invece era una piccola comunità di cercatori d’oro e scendevano anche di decine di metri sottoterra armati soltanto di braccia e mani con cui salivano e scendevano da questi fori scavati con la forza della braccia e in cui si puntellavano con le sole gambe. E ricordo che con orgoglio aveva poi indossato la maglia dell’Inter, segno dell’universalità del calcio… Questa era la loro vita fatta di piccole soddisfazioni. Oppure tra le brutte situazioni, a parte le frontiere dove c’è sempre da questionare per una ragione o per l’altra, uno dei momenti più pericolosi che ho vissuto, mi viene in mente il Centrafrica: mi ero fermato lungo la strada e sbucati dal nulla si misero intorno un po’ di ragazzi, con aria minacciosa e chiesero da dove venissi, risposi che ero italiano, ma loro insistevano col dire che ero americano: identificavano tutti i bianchi con gli statunitensi e non volevano credermi, cercai di smorzare la tensione e dissi che potevamo fermarci 200 metri più avanti dove c’era un distributore e gli avrei offerto una birra, ma una volta risalito in moto non mi fermai, credo che se non l’avessi fatto sarebbe finita male, erano proprio minacciosi e ce l’avevano con gli americani. Un’altra volta ero in Messico durante la rivolta del Chapas (iniziata nel 1994, ndr) e stavamo risalendo il fiume che fa da confine tra Messico e Guatemala, imbarcati su un battello con altri due motociclisti italiani, quando ci ha affiancato una lancia militare con i soldati, armi spianate, che ci hanno fermato e interrogato per due ore convinti che fossimo giornalisti, hanno sequestrato le macchine fotografiche. Poi, dopo due ore si sono convinti che eravamo solo turisti in moto e ci hanno lasciato andare. A proposito di frontiere, in una frontiera ad Oriente, meglio non dire quale, facevano la radiografia alla moto, la smontavano e poi controllavano con i raggi X le parti metalliche interne: io avevo un drone con me e niente di più facile che venisse sequestrato e io accusato di spionaggio, ci sono paesi così.. allora decisi di nascondere il drone nella maniera più visibile, ovvero lo infilai dentro il casco, ci misi sopra il sottocasco che è di stoffa e lo appesi al manubrio, in bella vista, mentre mi smontavano la moto, sotto gli occhi di tutti. Al momento di passare la moto ormai spoglia sotto la macchina radiografica ho poggiato il casco in terra insieme a tutti gli oggetti e i pezzi già ispezionati. Non hanno trovato nulla e mi hanno lasciato andare, c’è voluta una mezza giornata per fare tutta l’operazione, smonta e rimonta, scarica e ricarica, ma è andata bene”.
Hai mai avuto tentativi di estorsione, pretese illegittime di denaro in giro per il mondo? “E’ capitato, non ho mai pagato, eppure qualche agente che ci provava c’era; per esempio in una frontiera tra paesi caucasici un funzionario mi chiese 500 dollari per sdoganare la moto. Avevo con me una guida che fungeva da interprete, perché in pochi parlano inglese da quelle parti. Dissi, tramite lui, che non avevo intenzione di pagare nulla perché era tutto in regola, ma il doganiere insisteva, allora tirai fuori il telefono e gli feci una foto, poi immediatamente finsi di telefonare all’ambasciata italiana di quel paese, prima parlando in inglese affinché la guida traducesse, poi iniziai a parlare in italiano che nessuno capiva, fingendo di dialogare con l’ambasciata che mi consigliava di mandare la foto del doganiere alla polizia e lo raccontai alla mia guida in inglese; vidi allora il doganiere, a cui la guida aveva tradotto, iniziare a gesticolare di smetterla, e mise immediatamente il timbro che mancava. Si era spaventato, presi la moto e insieme all’interprete me ne andai”. Uomini e cose sfilano via lungo le strade del racconto, per i meandri di terra battuta quando va bene, poco più che sentieri o pantani se va meno bene; ogni metro, ogni chilometro è al tempo stesso una incognita o una liberazione, una scoperta o un problema. Ti si rompe un pezzo della moto e incredibilmente trovi qualcuno che ti dà una mano, in mezzo al nulla a 4.000 metri di altezza tra le montagne. Anche questo è capitato al viaggiatore Giampiero Pagliochini, incontri e situazioni che si trasformano spesso in amicizie da coltivare poi nel tempo, in un luogo che si chiama Mondo, incidenti che diventano opportunità, luoghi ancora da scoprire. Se gli chiedi qual è il posto o il viaggio più bello ti risponde “quello che devo ancora fare”.
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