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POLITICA

Lo Stato palestinese per ora è un'illusione

Saggia la posizione del nostro governo. E' sbagliato parlare di genocidio

11 Agosto 2025, 12:16

Lo Stato palestinese per ora è un'illusione

È evidente che le guerre alle porte di casa creano inquietudine. I telegiornali mandano in onda immagini devastanti, i social offrono quanto di peggio si possa pensare.

Monta la paura per il Medio Oriente, in questo momento, assai più che per l’Ucraina. Il premier israeliano Netanyahu reagisce in modo fortissimo alla strage del 7 ottobre voluta da Hamas e si temono riverberi terroristici ovunque.

È la discussione che si fa al bar come nei salotti, anche in Umbria ognuno dice giustamente la sua, spesso però senza approfondire quello che accade per davvero.

Ad esempio, è errato parlare di genocidio; ahinoi è purtroppo “solo” una guerra con i suoi orrori. Altrimenti anche i palestinesi che vivono in Israele (circa 2 milioni, il 20% della popolazione) passerebbero sotto le armi dello stato ebraico.

Qual è la soluzione? L’ipotesi sul tavolo da parte di alcuni, a cominciare da un Macron (in foto) in evidente crisi di consensi interni, è quella dei due popoli e due stati, fino al riconoscimento dello Stato palestinese. Israele risponde che è una provocazione.

Ma in sostanza che cosa cambierebbe con il “riconoscimento” dello Stato palestinese? Smetterebbero di odiarsi con Israele? Mettiamo i pompieri al confine per domare gli incendiari?

Sarebbe solo un atto simbolico, senza alcuna operatività concreta. E fortemente osteggiato da Tel Aviv. Non si creerebbero confini, non si fermerebbero le ostilità, e Israele non cambierebbe affatto il proprio atteggiamento.

Il riconoscimento dello Stato palestinese non fermerebbe né l’occupazione militare né i razzi né l’odio. Solo un passo fintamente diplomatico, non una soluzione ai conflitti, che restano radicati in decenni di guerre, insediamenti, attentati e vendette.

Nei fatti – ed è difficile dare torto a questa impostazione in presenza dei terroristi di Hamas che detengono ancora ostaggi vivi e morti - Israele non può accettare una decisione unilaterale e adottata senza il suo consenso.

Anzitutto perché considererebbe un gesto del genere come una “ricompensa al terrorismo”: dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, in cui furono uccisi circa 1.200 israeliani e rapiti oltre 250 civili, qualsiasi atto di riconoscimento verso la Palestina viene visto da Israele come un premio per Hamas.

Altra motivazione: “Non si può riconoscere uno Stato che è governato da un’organizzazione terrorista”, ha detto il premier dello Stato ebraico a maggio dello scorso anno.

Per Tel Aviv, il riconoscimento indebolisce la deterrenza e legittima un’entità che, nella sua visione, non ha rinunciato alla violenza né al rifiuto del diritto all’esistenza di Israele.

Israele sostiene che lo Stato palestinese può nascere solo tramite negoziati diretti, non con atti unilaterali da parte di altri Paesi. Fare altrimenti, secondo Tel Aviv, mina gli Accordi di Oslo, che prevedevano un processo graduale e reciproco.

Riconoscere la Palestina ora “uccide ogni incentivo per i palestinesi a negoziare”.

Certamente è comprensibile la rabbia per l’eccesso di bombardamenti, ma quando si ragiona di guerre, non si possono ignorare le motivazioni dei belligeranti.

E se da parte antisraeliana è nota la volontà politica di cancellare lo Stato ebraico, Israele dice “no” perché non vedrebbe garantita la propria sicurezza. Troppi sono i fronti aperti.

E questo spiega l’irritazione fortissima del governo di Netanyahu contro la Francia di Macron, accusata di voler garantire i “terroristi” con il suo sfrenato attivismo propalestinesi.

Dobbiamo rassegnarci a quelle immagini che fanno male ogni sera che siamo davanti alla tv? Certo che no, ma è compito di chi vuole la pace mettere in campo ipotesi possibili, soluzioni e non illusioni.

Per ora c’è solo la fiera delle vanità sulla pelle di chi muore in quelle terre da una parte come dall’altra. È la diplomazia – finora inefficace – che deve saper usare le proprie carte, senza spericolati sbandamenti da parte di spettatori interessati al proprio protagonismo più che alla fine del conflitto.

La postura del governo italiano appare come la più sobria in questa fase e sbaglia chi pretende accelerazioni che non avrebbero senso, né produrrebbero risultati. Si chiedeva la condanna della reazione “sproporzionata” di Israele e la Meloni lo ha fatto. Un altro passo farebbe precipitare anche noi nel girone dell’inconcludenza e questo non servirebbe a nessuno. Né allo Stato ebraico, né alla causa palestinese.

Per tantissimi anni dall’Italia – e anche dalla stessa Europa – si è predicata l’equidistanza tra le parti. Non c’è un solo motivo per mettere in discussione un caposaldo di politica estera in quelle aree sconvolte.

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