Attualità
La discussione sul fine vita rischia di provocare grossi problemi alla Regione Umbria. Il dibattito aperto da un lato dalla Toscana - che ha approvato una normativa in materia - e dall’altro dalla collega Laura Santi, di Perugia, può creare conflitti anche in seno all’amministrazione Proietti. Con la governatrice, profondamente cattolica e che potrebbe essere messa in imbarazzo dalla sua maggioranza.
È evidente che le persone gravemente malate hanno la precedenza nella discussione. Ma chi ha il compito di approvare leggi deve anche conoscere i confini delle proprie competenze. Che non possono essere ridotte alla questione delle autorizzazioni delle Asl sulla base di normative regionali: no, il tema non è burocratico, ma politico.
E per questo solleva molti dubbi la legge toscana, perché sembra un modo per aggirare la competenza statale a varare norme: un metodo che è davvero difficile accettare.
In assoluta buona fede, si dice che bisogna varare una legge anche in Umbria perché lo Stato non lo fa, nonostante il monito della Corte costituzionale. Ma non è che non si scrivono articoli e leggi per dispetto, ma perché le norme risentono anche del peso di valori e coscienze che non possono essere messi in posizione subordinata.
Ma ancora: ha senso procedere per singole regioni? Se davvero morire diventa un diritto - ed è una prospettiva di cui non tutti possono essere convinti a meno che non si voglia legiferare sotto la spinta di un pensiero unico intollerabile - la sua attuazione dipenderà dal territorio in cui si vive? In Toscana e Umbria sì, e nelle Marche e nel Lazio no, tanto per restare ai confini della regione?
I problemi di coscienza esistono in tutti gli schieramenti. Nel centrodestra, ad esempio, è recentissima la presa di posizione di Matteo Salvini: il leader della Lega pare aver aperto al dovere di varare una legge nazionale, mentre i suoi alleati di FdI e FI sembrano attestati su una maggiore prudenza. Idem nel centrosinistra, dove si mischiano pure CULTURE di provenienza molto differente tra le varie famiglie politiche.
In Umbria è la posizione della governatrice ad essere sotto i riflettori. Tra i suoi assessori spicca quel Thomas De Luca che nella scorsa legislatura si spinse con interrogazioni a chiedere un pronunciamento della Regione, allora governata dal centrodestra. E ora che farà? E la presidente Proietti dirà no alla Chiesa, ostinatamente contraria alla messa in discussione della sacralità della vita?
Sono temi che scuotono gli animi, che lacerano le menti, che provocano conflitti nella società. Ma per carità, meglio uscire da una visuale localistica per la soluzione al problema.
E qui non è in discussione il diritto-dovere di Laura Santi a promuovere la sua campagna per tremila firme in calce ad una proposta di legge; ma l’efficacia di sottoscrizioni ad un documento il cui destinatario, semmai, dovrà essere il Parlamento, a Roma, e non il palazzo della regione Umbria.
Sul piano generale parliamo di una discussione che riguarda temi di indubbia delicatezza e lo stesso governo regionale ha mostrato segnali di interesse verso la questione, ma le posizioni politiche sono ancora divise.
I temi legati al fine vita sono oggetto di dibattito pubblico e politico anche in molte altre regioni italiane, con opinioni che spaziano appunto da chi sostiene una maggiore autonomia regionale su questi temi, a chi invece preferisce mantenere una regolamentazione uniforme a livello nazionale.
Va detto che per ora non c'è, in sede locale, una proposta di legge definitiva in fase di approvazione. Se ci fossero novità legislative, toccherà proprio alla Proietti stabilire come il governo regionale possa impegnarsi sul tema.
Del resto, la presidente dell’Umbria ha espresso in più occasioni una posizione contraria all'introduzione di una legge regionale sul fine vita. Potrà accettare di cadere in contraddizione con se stessa e soprattutto con la Chiesa cattolica?
La governatrice ha per sé anche l’appiglio della competenza istituzionale nel potersi opporre ad una legislazione regionale sul fine vita. Il che non vuol dire che il tema non debba essere affrontato, ma appunto non nella sede regionale.
Anche perché sarebbe in lampante contraddizione con l’atteggiamento di chi è contrario all’autonomia differenziata ma poi la applica per porre fine ad una vita.
E siccome è tutto maledettamente serio, è bene fermarsi a ragionare e semmai tornare a sollecitare il Parlamento, accettando però le difficoltà di una discussione serena anche a Roma.
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