UMBRIA
Thomas De Luca
Se l’Umbria dovrà continuare ad invocare lo Stato per decidere su questioni fondamentali per il territorio, presto si saprà chi ringraziare. Se una regione come questa non potrà decidere mai per le proprie infrastrutture o non potrà indire concorsi regionali in materia di assunzioni per l’istruzione, le responsabilità saranno individuabili con facilità. Così come per ogni altra materia che possa essere utile al territorio. Perché anche da queste parti c’è chi vuole sabotare - a quanto dicono i numeri inutilmente però - la legge sull’autonomia differenziata. Che non crea pasticci tra una regione e l’altra, come certa propaganda afferma e certi propagandisti minacciano, ma trasferisce poteri dallo Stato al territorio. In questo caso alla regione Umbria. Ebbene, c’è il partito dei rinunciatari al governo locale. Preferiscono il cosiddetto centralismo contro cui ululano ogni volta che non ci sono decisioni utili da Roma. Però non vogliono che si prendano neppure a Perugia. La settimana trascorsa ci ha regalato la solita mozione della sinistra per sollecitare la maggioranza di Donatella Tesei ad accodarsi alle regioni rosse per proporre il referendum abrogativo della legge Calderoli. Ebbene segnarsi i nomi degli eroici consiglieri del no: Thomas De Luca del MoVimento 5 Stelle, Simona Meloni, Tommaso Bori, Michele Bettarelli, Fabio Paparelli del Partito Democratico, e Vincenzo Bianconi e Donatella Porzi del Gruppo Misto, hanno annunciato la presentazione ufficiale di questa richiesta. Tutti e sette, appassionatamente, per sabotare una rivoluzione nel governo del territorio. Passaggi in mano tra la burocrazia di Stato e quella regionale. Niente da fare, non vogliamo responsabilità. Farebbero bene ad ascoltare Carlo Calenda, che pure è contro l’autonomia differenziata: “Per raggiungere il quorum dovremmo portare a votare tredici milioni circa di italiani in più rispetto a quelli che hanno votato alle Europee i partiti che lo propongono”. Uno spreco di soldi reale in epoca di astensionismo dilagante. Insomma, la notizia è che anche la sinistra umbra non vuole autonomia e poteri per la regione. Eppure quell’articolo della Costituzione - il 117 - che prevede l’autonomia differenziata lo vollero proprio quelli della sinistra con un voto a strettissima maggioranza in Parlamento. Ora, siccome la loro riforma l’attua la destra non la vogliono più. Perdo la partita e mi porto via il pallone. Ma ciò che appare meravigliosa è la motivazione a cui si aggrappano i consiglieri umbri contrari alla legge approvata dalle Camere: "E’ innegabile (ma solo da loro, ndr) che il dispositivo sull'autonomia differenziata così come recentemente approvato dal Parlamento italiano contraddica nella sostanza l'esigenza di un'autentica riforma in senso autonomistico" (ah ecco, autentica, lo stabilisce la sinistra, ndr). "Al contrario - proseguono - la legge in questione altera l'equilibrio dei rapporti tra le regioni (e questo non è vero, ndr) e tra le regioni e lo Stato, generando disparità e disuguaglianze (ma se lo Stato cede i propri poteri a chi può esercitarli meglio nel territorio qual è il problema? ndr)”. Basterebbe ascoltare chi se ne intende anziché rullare i tamburi di partito. C’è in Umbria un problema di infrastrutture sì o no? Se si risponde di no, allora hanno ragione quelli del partito anti autonomia. Vivono su un altro pianeta e non c’è nulla da fare. Se invece ragionano sui nodi aperti, scoprono che da tantissimi anni non ci sono risposte da chi deve decidere a Roma, tra Palazzo Chigi e i vari ministeri. E se c’è invece un travaso di poteri al territorio - con relative risorse che saranno individuate con le leggi finanziarie - magari si fa prima ad abbattere tanti veti che impediscono lo sviluppo delle opere nel territorio dalle varie conferenze di servizi, ad esempio. Una regione che possa camminare sulle proprie gambe dovrebbe essere l’aspirazione di chiunque si candidi a governarla. Se dovesse essere la sinistra, l’Umbria dovrebbe attendere decenni dalla Capitale e dalle sue burocrazie per ottenere i suoi diritti. Idem per l’altro esempio che abbiamo fatto all’inizio del nostro ragionamento. Concorsi nel territorio per l’istruzione non aiutano di più? O dobbiamo lasciare tutto così com’è? A che e a chi serve? Autonomia significa più poteri ai territori e quindi maggiori strumenti per le comunità, un sempre più significativo sviluppo economico, sociale e culturale grazie a provvedimenti predisposti ad hoc per ogni singola esigenza dei territori, che resteranno uniti, ma che avranno finalmente il diritto e gli strumenti per potenziare ciascuno le proprie peculiarità. Ma non lo vogliono capire.
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