musica
Siamo in quei giorni sospesi, quelli che stanno a metà tra la digestione dei tortellini e l’ansia del "cosa fai a Capodanno?". Il 2025 sta chiudendo le sue valigie, e noi siamo qui, alla finestra – reale o metaforica – a guardare fuori. Se accendiamo la radio, o più probabilmente scorriamo la nostra playlist in streaming, capita quasi sempre di inciampare in un arpeggio di pianoforte inconfondibile. È Lucio Dalla. È il 1979, ma potrebbe benissimo essere oggi.
"Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po'..."
Mai come in questo fine 2025 sentiamo il bisogno di scrivere a qualcuno, di connetterci. Forse non usiamo più carta e penna, forse mandiamo un vocale o una storia su Instagram, ma il sentimento che Dalla catturò magistralmente resta intatto: la necessità di condividere un’emozione perché "siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò".
Oggi, mentre il calendario sta per girare pagina sul 2026, viviamo gli stessi sentimenti contrastanti che Lucio cantava. C'è quella strana malinconia di ciò che lasciamo andare e l'elettricità statica di ciò che deve ancora arrivare.
Dalla cantava di un anno che "porterà una trasformazione". E noi? Cosa ci aspettiamo dal 2026?
La televisione – o meglio, i nostri feed dei social media – ci hanno detto che il nuovo anno porterà cambiamenti epocali. Magari non "sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno", come ironizzava Lucio con la sua geniale amarezza, ma la speranza umana è dura a morire.
Nel 2025 abbiamo corso tanto, forse troppo. Abbiamo visto tecnologie cambiare il mondo in un battito di ciglia, abbiamo affrontato sfide climatiche e sociali. E proprio come nella canzone, sentiamo il bisogno di rassicurazioni. Vogliamo credere che "i sacchi di sabbia vicino alla finestra", quelle difese che abbiamo eretto per proteggerci dalle difficoltà degli ultimi anni, possano finalmente sparire.
È qui il cuore pulsante della filosofia di Dalla, perfetto per questo sabato di fine dicembre. C'è un realismo disarmante nelle sue parole: il tempo scorre, le novità invecchiano in fretta. Eppure, c'è un invito a non subire il tempo, ma a viverlo.
In questo 27 dicembre, mentre fuori forse fa freddo e le luci dell'albero sono ancora accese, la lezione più grande è nell'ultima strofa. Di fronte all'incertezza del futuro, di fronte a un 2026 che è ancora un foglio bianco, non dobbiamo aspettare passivamente che succeda qualcosa di magico. La magia siamo noi. Lucio non dice "spero che vada tutto bene". Dice: "Io mi sto preparando".
È una dichiarazione di intenti. Prepararsi significa essere pronti ad accogliere il nuovo senza paura. Significa ridere, sperare, e continuare a cercare quel "caro amico" a cui raccontare come va la vita.
Allora, buon fine 2025. Che il 2026 vi trovi pronti, curiosi, e magari con questa canzone nelle orecchie. Perché, in fondo, l'unica vera novità è esserci ancora, pronti a stupirci ancora una volta. "Vedi caro amico, cosa si deve inventare... per poter riderci sopra, per continuare a sperare."
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