TENNIS
"La Coppa Davis l'avevo promessa a Matteo", queste le parole di Jannik Sinner a SkySport, in una lunga intervista dove ha parlato del trofeo vinto per due edizioni consecutive - 2023 e 2024 - e della sua preparazione in vista delle Finals.
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Nella lunga chiacchierata con il direttore di Sky Sport Federico Ferri, il campione azzurro ha ripercorso la sua intensa stagione, a partire dal trionfo a Wimbledon - che lo ha reso il primo italiano dalla nascita del major - nel 1877 - a essere incoronato re di Londra: "Quello che ho fatto io a Wimbledon è stato molto speciale. Matteo Berrettini ci è andato molto vicino: ha fatto la finale, e prima di quel match senti una cosa diversa. Entri sul centrale, di nuovo, ma è un'altra cosa: quando entri su quel campo in un primo turno o in una semifinale o una finale, cambia tantissimo. In quel momento lì ho provato a rimanere focalizzato sul presente, su quello che volevo fare: stare attento alla prestazione.
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"Alzare quel trofeo - ha continuato - a me ha cambiato un po', perché per me Wimbledon è sempre stato e rimarrà sempre 'IL' torneo del tennis. Sono contento di aver portato questo trofeo in Italia, perché l'Italia è un paese che a me dà veramente tanto, come è stata anche la Coppa Davis, che abbiamo vinto due volte di fila. Ecco, ci sono alcuni tornei che fanno bene a essere di nuovo in Italia e sono molto contento di dare il mio contributo".
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Una finale - quella di Londra - arrivata a un mese dalla sconfitta contro Carlos Alcaraz al Roland Garros: "Dopo quella finale, mi ricordo che i primi due, tre giorni è stato un disastro. Non riuscivo nemmeno a dormire. Non avevo energia durante il giorno, ero distrutto - ha raccontato - pensi ai tre match point, pensi al 5-4 e servizio. Poi anche: 'Il quinto set nel tie break potevo giocarlo meglio?' Sì e no. Carlos ha giocato divinamente, quindi era molto difficile. Però ci pensi. Per questo ho deciso di andare ad Halle e giocare quel torneo. Per vedere come stessi. E mentalmente non stavo benissimo".

Poi è arrivata la rivincita sull'erba dell'All England Club: "La settimana prima, soprattutto durante l'allenamento, mi sono detto quanto mi volevo preparare per questo torneo. Lì è iniziato tutto un processo importante: siamo stati in campo tante ore, tre o quattro al giorno, per capire come si gioca sull'erba. L'anno scorso mi ero sentito molto bene su quella superficie, proprio come quest'anno: ho cominciato benissimo. Il mezzo miracolo è avvenuto durante la partita contro Grigor (Dimitrov, ndr), quando ero molto vicino alla sconfitta: non vuoi vincere così, però è successo. In semifinale ho giocato molto bene con Novak (Djokovic, ndr) e poi lì ho preso la fiducia per giocare un'ottima finale. Ho giocato molto bene, però anche lì è stato difficile. Ero un break sopra nel primo, ho perso 6-4 e mi sono detto: 'Ecco, ci risiamo...'. Invece mi sono messo lì e ho cercato di essere il giocatore che volevo. Volevo far capire a me stesso che ero migliorato da Parigi".
Sul sostegno dei suoi genitori nei momenti difficili, ha aggiunto: "I miei genitori volevano e vogliono sempre che io sia contento. Ovviamente sono molto felici di quello che sono diventato e tutto il successo che ho raggiunto. Hanno visto che non ero felice dopo Parigi, o durante i tre mesi di squalifica in cui ho vissuto momenti difficili, e lì li ho visti preoccupati davvero. Le due fortune che ho avuto sono state sicuramente Alex (Vittur, ndr) e i miei genitori. C'è anche da dire che Dio mi ha dato il talento di giocare a tennis, che ho questo fisico, perché magari con dieci centimetri in meno di altezza farei molta più fatica. Io mi reputo la persona più fortunata al mondo. Poi, ovviamente, ci sono i sacrifici e tutto il resto. Ma è tutto secondario, è una scelta personale".

Le immagini di mamma Siglide sugli spalti nelle finali major europee di quest'anno hanno fatto il giro del mondo: "Allora, quando ho iniziato a giocare meglio, parlo di due, tre anni fa, mia mamma mi ha detto: 'Io non voglio essere nel tuo box, però se fai le finali in un Grande Slam in Europa io voglio essere lì'. All'inizio ho riso, ho detto sì. 'Tanto non succederà mai', pensavo. Vado in finale a Roland Garros, la chiamo e mi conferma che sarebbe venuta. Viene, si mette nel box e vede una partita in cui succede di tutto e di più. Dopo Parigi le ho detto: 'Guarda, hai superato questo, puoi superare tutto'. E invece… Faccio un piccolo passo indietro. A Roma non ha visto nessuna partita, tranne la prima contro Navone. Si è ripresentata alla finale, e ho perso. Quindi a Parigi, e ho perso. Quando mi ha detto che sarebbe venuta a Wimbledon, non glielo volevo dire, ma mi sono detto che sarebbe stata l'ultima chance (ride, ndr)! Adesso in realtà ha chiesto a Riccardo Ceccarelli (il suo mental coach, ndr), se c'è qualcosa da imparare. Ora si metterà lì e piano piano imparerà anche lei: già adesso si vede che non sorride più, che è tutta focalizzata. Vedrai che non farà nemmeno più l'applauso!".
Jannik ha parlato anche del futuro del suo coach Darren Cahill: "Questa sarà la sfida più grande di quest'anno! Ancora dobbiamo parlare, perché la stagione non è finita: c'è un torneo importante qua a Torino, sappiamo cosa c'è in palio. Però dopo ovviamente ci dobbiamo sedere e confrontarci. Lui ha compiuto 60 anni quest'anno, è stato nel tennis da giocatore, poi è entrato come allenatore, è in questo mondo da 40-45 anni: capisco anche lui... Io mi vedo insieme a Cahill ancora per un altro anno, perché è una persona che va forse anche oltre il concetto di allenatore: è un po' come il padre che unisce tutto il team, soprattutto quando le cose non vanno benissimo. È stato fondamentale fino a ora per la mia crescita, per quello che sono. È stato fondamentale anche per Simone (Vagnozzi, ndr) perché mi ha preso quando ero tra i primi dieci e anche lì dalla parte dell'allenatore c'è tanta pressione. Speriamo di convincerlo".

Infine, sulle motivazioni che lo hanno portato a rinunciare all'edizione di quest'anno della Coppa Davis: "La lunghezza della programmazione di tutti i tornei è sempre la stessa. A volte c'è una settimana in più, a volte una in meno. Il vero problema è che un torneo una volta durava una settimana, ora quasi due: vuol dire che hai molto meno tempo per recuperare. Che vuol dire soprattutto prevenzione. Se guardiamo la scorsa stagione, non ho giocato tanti tornei per essere pronto a farne altri a cui tenevo di più. L'anno scorso per esempio non sono stato a Parigi, perché volevo essere pronto per Torino e per la Davis. Soprattutto a fine stagione, una settimana fa molto: veniamo da pressioni e da emozioni, perché non è facile nemmeno recuperare da quelle, sia che si vinca, sia che si perda. Ci vuole tanto tempo a mettere tutte le cose insieme. Se tu hai una settimana in più di preparazione, hai anche una settimana in più di vacanza".

"Ti prepari quindi più forte, più carico con più energie e anche con più voglia: giochiamo a tennis tutti i giorni, ci sta che a volte si abbia meno voglia di andare in campo. La preparazione prevede anche carichi di lavoro diversi e quelle più pesanti sono importantissime, soprattutto a lungo termine. Per me quest'anno non c'è stato il minimo di dubbio che questa fosse la scelta giusta".

Nel 2024 la partecipazione dell'altoatesino è stata dettata anche da una promessa fatta a Matteo Berrettini: "L'anno scorso invece volevo giocare la Davis. Il mio team mi ha anche un po' trattenuto, ma io volevo esserci: l'avevo promesso a Berrettini, perché quando abbiamo vinto nel 2023 lui era lì a sostenerci, ci siamo abbracciati e gli avevo promesso che l'avremmo vinta anche insieme. Già alla fine dell'edizione scorsa avevo deciso che quest'anno non ci sarei stato. La cosa che a me non piace è che abbiamo una squadra incredibile anche senza di me e nessuno ne parla. Ci possiamo permettere di non convocare il 26 al mondo, cioè Darderi, perché ci sono Cobolli, Musetti e Matteo (Berrettini, ndr) stesso. E anche la squadra di doppio è fortissima. La possibilità di vincere è alta. Anche a me dispiace non esserci, però guardiamo il lato positivo: c'è una qualità di giocatori diversi incredibile. Non vedo perché non si possa vincere anche quest'anno".
Ancora le Finals attendono l'ottavo tennista singolarista. In corsa l'azzurro Lorenzo Musetti, impegnato in questi giorni all'Atp 500 di Atene: "Questa settimana dobbiamo fare tutti il tifo per Lorenzo (Musetti, ndr), perché sarebbe veramente bello se fossimo in due qui a Torino. Avremmo due singolaristi, una coppia del doppio: ci sarebbe tanta Italia, in Italia. Io sono cresciuto qui, ho sempre dedicato le mie vittorie all'Italia, ma non sarei il giocatore che sono senza tutto il sostegno che ricevo tutti i giorni da tutte le parti del mondo. Per esempio, a New York ci sono tantissimi italiani che mi sostengono, ma ho il sostegno anche quando vado in Australia: ci sono tanti posti che mi fanno sentire amato e, ripeto, orgoglioso di essere italiano".
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"Sarà un'edizione molto speciale a prescindere da quello che succederà. La prepariamo nel migliore dei modi: darò tutte le mie energie fisiche e mentali. È probabilmente arrivato il momento di dire che sia il torneo più importante dell'anno, anche se ho fatto tante cose. Mi voglio divertire, giocare davanti al pubblico italiano che anche a Roma mi ha sempre dato molto affetto. A Torino è diverso: ci sono gli otto giocatori migliori al mondo, inizi subito forte. Lo spettacolo sarà molto alto, teso. Speriamo di essere in due singolaristi italiani e che sia un bello spettacolo".
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