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TRA STORIA E LEGGENDA

La maledizione di Tutankhamon: la tomba del faraone scoperta il 4 novembre 1922

Clementina Civitavecchia

04 Novembre 2025, 10:56

La maledizione di Tutankhamon: la tomba del faraone scoperta il 4 novembre 1922

Il 4 novembre 1922, nella Valle dei Re in Egitto, Howard Carter si trovò davanti all’ingresso sigillato della tomba di Tutankhamon. Un momento glorioso per la storia dell’archeologia che, pochi mesi dopo, fu funestato da una scia di decessi che molti, ancora oggi, attribuiscono alla maledizione del faraone bambino.

La scoperta

Il 4 novembre 1922, nella Valle dei Re, l’archeologo britannico Howard Carter scopriva la tomba del “faraone bambino“, Tutankhamon, che morì nel 1323 a.C. all’età di circa 18 anni. La missione era guidata da Howard Carter e finanziata dal quinto conte di Carnarvon, un appassionato egittologo. Era la prima spedizione in quella zona.

Carter era sulle orme della tomba del faraone già dal 1907, quando, studiando frammenti di ceramica e sigilli con il nome di Tutankhamon, aveva intuito che quello che stava cercando potesse trovarsi nella Valle dei Re, in un’area ancora non esplorata a fondo (vicino alla tomba di Ramses VI).

Fu grazie alle autorizzazioni ottenute da Carnarvon che, quel giorno, nella Valle dei Re si trovavano Carter e alcune decine di operai egiziani, tra cui un bambino di soli dodici anni, Hussein Abdel Rasoul. Fu proprio lui, urtando accidentalmente una pietra, a scoprire il primo gradino di una scala che avrebbe condotto alla tomba di Tutankhamon: l’inizio di una scoperta destinata a entrare nella storia. Quel gradino era parte di una scala tagliata nella roccia che conduceva a una porta murata con i sigilli reali raffiguranti due sciacalli sopra nove prigionieri.

Carter fece immediatamente coprire tutto per evitare furti e scrisse un telegramma al suo finanziatore, Lord Carnarvon, che si trovava in Inghilterra: “Abbiamo finalmente fatto una scoperta meravigliosa nella Valle; una tomba magnifica con i sigilli intatti”.

Dopo 22 giorni, l’archeologo britannico e Carnarvon si ritrovarono nella Valle dei Re per entrare nella prima stanza. Con loro un’equipe di circa 26 membri, tra cui la moglie di Carnarvon stesso (lady Almina Herbert), l’ingegnere e assistente tecnico (Arthur Callender), il chimico e restauratore (Alfred Lucas), il fotografo ufficiale (Harry Burton), i conservatori del Metropolitan Museum (Arthur Mace e Alfred T.), i linguisti ed egittologi (Walter Hauser e Alan Gardiner).

Erano circa le 16.00 quando l’equipe riuscì ad aprire un varco: “Alla luce di una candela vidi che eravamo in una magnifica camera piena di meraviglie, in straordinario disordine… Era tardo pomeriggio” scrisse Carter nel suo diario custodito nel Griffith Institute dell’Università di Oxford. E ancora: “Passò un po’ di tempo prima che riuscissi a vedere: l’aria calda che usciva faceva tremolare la fiamma della candela. Ma, non appena i miei occhi si abituarono alla luce, i dettagli della stanza cominciarono a emergere lentamente dalla foschia: strani animali, statue e oro, ovunque il luccichio dell’oro. Per un momento, che a coloro che mi stavano accanto dovette sembrare un’eternità, rimasi muto dallo stupore; e quando Lord Carnarvon, incapace di sopportare oltre l’attesa, mi chiese ansiosamente: ‘Vede qualcosa?’, riuscii appena a rispondere: ‘Sì, meravigliose cose’”.

La maledizione

Tutto ebbe inizio tre mesi dopo, il 16 febbraio 1923, quando alle 10 del mattino, con i testimoni ufficiali, Carter aprì la porta sigillata e entrò nella camera funeraria, dove trovò la tomba del faraone composta da quattro gigantesche casse di legno dorate, incastrate una dentro l’altra a protezione della mummia di Tutankhamon, coperta da gioielli, amuleti e più di 150 oggetti solo sul corpo. Il volto era protetto dalla celebre maschera funeraria d’oro, intarsiata di lapislazzuli e quarzo, custodita oggi al Museo Egizio del Cairo. In quel momento tutto appariva straordinario, ma quella stessa meraviglia segnò anche l’inizio di una serie di morti misteriose tra i membri della spedizione e dei visitatori che si presentarono in quel luogo nei giorni successivi. Il primo a morire, un anno dopo, fu proprio Lord Carnarvon, 56 anni, colpito da una forma di setticemia. Fu quello il momento in cui iniziarono a diffondersi leggende e speculazioni su una sorta di maledizione che si sarebbe abbattuta su chiunque avesse avuto il coraggio di interrompere il sonno del faraone. Sir Arthur Conan Doyle, medico e scrittore (autore di Sherlock Holmes), disse alla stampa americana che la morte di Carnarvon sarebbe potuta essere provocata da “uno spirito malvagio” creato dai sacerdoti per proteggere la mummia. Ma non finì lì. Da lì in poi morirono altre persone che avevano visitato la tomba del faraone come il principe Ali Kamel Fahmy Bey d’Egitto, ucciso dalla moglie nel 1923; Sir Archibald Douglas Reid, che presumibilmente fece una radiografia alla mummia e morì misteriosamente nel 1924; Sir Lee Stack, il governatore generale del Sudan, assassinato al Cairo nel 1924; Arthur Mace della squadra di scavi di Carter, che si dice sia morto di avvelenamento da arsenico nel 1928; il segretario di Carter Richard Bethell, che presumibilmente morì soffocato nel suo letto nel 1929; e suo padre, che si suicidò nel 1930. Eppure, la maggior parte delle persone (tecnici o visitatori) che erano entrati in contatto con quella tomba non si ammalarono e vissero a lungo. Lo stesso Carter liquidò con rabbia l’idea di quella leggenda, ma quando morì della malattia di Hodgkin nel suo appartamento di Londra nel marzo 1939, la storia della maledizione del re bambino tornò in vita.

Spiegazioni scientifiche

Se ci si attiene alla leggenda, la maledizione del faraone avrebbe colpito molti, tra morti violente e malattie improvvise. Ma al di là del mito, la scienza offre una possibile spiegazione: la causa di alcuni decessi non sarebbe soprannaturale, bensì biologica. Gli studiosi ipotizzano che gli esploratori siano stati esposti a antichi agenti patogeni e sostanze tossiche rimaste intrappolate per millenni nella tomba sigillata e che abbiano attecchito su chi era già indebolito da una malattia cronica. Nelle tombe egiziane non c’erano solo cadaveri, ma anche alimenti (carne, verdure e frutta) che potrebbero aver attratto insetti, muffe potenzialmente pericolose, batteri che aggrediscono le vie respiratorie e gas ammoniacali, formaldeide e idrogeno solforato che, in concentrazioni elevate, potrebbero causare bruciore agli occhi e al naso, sintomi simili alla polmonite e, in casi molto estremi, morte. Non è tutto: i pipistrelli che popolano molte tombe scavate e i loro escrementi possono veicolare un fungo capace di provocare l’istoplasmosi, una malattia respiratoria paragonabile all’influenza. Così, il decesso di Lord Carnarvon, secondo alcuni ricercatori, sarebbe stato innescato proprio da questi elementi. Lo stesso vale anche per George Jay Gould, magnate americano che visitò la tomba nel 1923, morì poco dopo di polmonite; Arthur Mace, archeologo del Metropolitan Museum, morì nel 1928 di malattia respiratoria cronica; Richard Bethell, segretario di Carter, morì nel 1929 in circostanze misteriose (soffocamento o collasso respiratorio). Ovviamente, oltre alle ipotesi più o meno fondate, non si ha ad oggi alcuna certezza scientifica. Eppure c’è un punto di incontro tra scienza e rito: “C’è scienza dietro il fatto che, quando stai disturbando depositi chiusi da migliaia di anni, tu possa esporti a qualche roba malvagia”, ha dichiarato Kenneth Feder, professore di archeologia alla Central Connecticut State University in Nuova Bretagna.

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