LA STAGIONE DEL TSU
La Stagione 25/26 organizzata dal TSU, Teatro stabile dell'Umbria del Teatro Secci di Terni prosegue lunedì 3 e martedì 4 novembre, alle 20.45, con Autoritratto, monologo scritto e interpretato da Davide Enia, tra i drammaturghi, registi e attori più premiati della scena italiana. Le musiche originali sono composte ed eseguite dal vivo da Giulio Barocchieri.
Muovendo dalle cronache degli anni Ottanta e dalle stragi del 1992, Enia indaga l’impronta lasciata da Cosa Nostra nelle nostre esistenze, delineando “un Autoritratto intimo e collettivo” di una comunità costretta a convivere con l’epifania del male.
“A Palermo tutti quanti abbiamo pochissimi gradi di separazione con Cosa Nostra. – spiega Enia nelle sue note – Il primo morto ammazzato l’ho visto a otto anni, tornando a casa da scuola. Conoscevo il giudice Borsellino, abitava di fronte casa nostra, sono cresciuto giocando a calcio con suo figlio. E padre Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia, era il mio professore di religione al liceo. Come me, i miei amici, i miei compagni, i miei concittadini, tutti quanti abbiamo toccato con mano la mafia. Tutti possediamo una costellazione del lutto in cui le stelle sono persone ammazzate da Cosa Nostra. Ecco una costante dei palermitani: sentirsi ovunque costantemente in pericolo. La nevrosi è inscritta nel nostro orizzonte degli eventi.”
Lo spettacolo affronta anche un caso emblematico, autentico spartiacque nella coscienza pubblica: il rapimento e l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio di un collaboratore di giustizia, sequestrato, tenuto in prigionia per 778 giorni in condizioni atroci e infine ucciso.
“Una storia disumana – spiega l’autore – che si configura come l’apparizione del male, il sacro nella sua declinazione di tenebra. Siamo in presenza dell’orrore, di una ferocia smisurata. E su tutto vibra il sacrificio di una vittima innocente. La verticalità della vicenda ha in sé tutti i requisiti della tragedia, soprattutto nella formulazione di domande che non possono avere risposte. Gli strumenti linguistici a disposizione per affrontare questo lavoro sono quelli che il vocabolario teatrale ha costruito nella mia Palermo: il corpo, il canto, il dialetto, il pupo, la recitazione, il cunto. È dentro questo linguaggio circoscritto che questo problema linguistico va affrontato, sviscerato, interrogato, risolto. Questo nuovo lavoro è una tragedia, un’orazione civile, un processo di autoanalisi personale e condiviso, un confronto con lo Stato, una serie di domande a Dio in persona. Per questo, questo lavoro è un autoritratto al contempo intimo e collettivo.”
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