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I gioielli su Vinted e il caso di Vincenzo Peruggia
Il furto dei gioielli storici al Louvre ha scatenato una vera e propria ondata di ironia sul web. Dopo la clamorosa sparizione, avvenuta domenica 19 ottobre, di preziosi appartenuti a Napoleone e all’Imperatrice Eugenia – una perdita stimata di circa 88 milioni di euro – alcuni oggetti rubati sono misteriosamente "comparsi" su Vinted, la popolare piattaforma di compravendita di seconda mano particolarmente diffusa in Francia.
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Diversi utenti hanno pubblicato annunci palesemente scherzosi. Tra i più emblematici, quello di chi propone una "meravigliosa collana di Napoleone trovata vicino al Louvre" per poche migliaia di euro. Altri hanno messo in vendita gioielli a 20mila euro scrivendo "li ho trovati per strada mentre camminavo". Non manca chi si è firmato ironicamente come "Lupin", dichiarando di aver trafugato i preziosi "senza lasciare tracce con attrezzature professionali", o chi afferma di averli ricevuti da "un amico che li ha trovati davanti al museo".
Sul fronte investigativo, le autorità francesi stanno ricostruendo nel dettaglio la dinamica del furto, come riporta Open. Secondo le prime ipotesi, i ladri avrebbero utilizzato un montacarichi rubato pochi giorni prima nel comune di Louvres, a nord-ovest di Parigi, durante una trattativa tra privati. Il museo, da parte sua, ha difeso le proprie misure di sicurezza, precisando che le teche installate nel 2019 rappresentano un significativo aggiornamento rispetto ai vecchi sistemi. Anche la ministra della Cultura, Rachida Dati, ha confermato che i dispositivi avrebbero funzionato correttamente. Gli inquirenti, tuttavia, non escludono la possibilità di una soffiata interna da parte di un dipendente infedele o di un ex collaboratore mosso da vendetta. Il caso, tra mistero e ironia social, resta uno dei furti d’arte più clamorosi degli ultimi anni, capace di trasformare perfino una tragedia culturale in una commedia digitale.
Non è certo la prima volta che, purtroppo, il Louvre fa da sfondo a furti rocamboleschi. Nel 1911 il Louvre fu teatro di uno dei furti più clamorosi della storia dell’arte: quello della Gioconda di Leonardo da Vinci, trafugata dall’imbianchino italiano Vincenzo Peruggia.
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Leonardo da Vinci dipinse la Gioconda tra il 1503 e il 1513, su commissione di Francesco del Giocondo, marito della modella Lisa Gherardini. L’opera, mai consegnata ai coniugi, seguì l’artista fino in Francia, dove Leonardo si trasferì nel 1517 al servizio di re Francesco I. Dopo la morte del maestro, il quadro entrò a far parte delle collezioni reali francesi e, dopo vari spostamenti, trovò la sua sede definitiva al museo del Louvre.
La mattina del 22 agosto 1911, il pittore francese Louis Béroud si recò al museo per copiare la Gioconda, ma si trovò davanti a un muro vuoto: il dipinto era sparito. Le indagini si concentrarono inizialmente su alcuni operai e perfino su artisti come Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso, ma senza risultati. Solo due anni più tardi, nel 1913, la Gioconda riapparve a Firenze.
A risolvere il mistero fu una lettera ricevuta dall’antiquario fiorentino Alfredo Geri, firmata "Leonardo V.", che proponeva la vendita del dipinto "per restituirlo all’Italia". Dietro quello pseudonimo si nascondeva Vincenzo Peruggia, un operaio che aveva lavorato proprio al Louvre e conosceva bene la teca che custodiva l’opera. Convinto che la Gioconda fosse stata rubata da Napoleone, Peruggia la sottrasse per patriottismo, nascondendola per 28 mesi sotto il letto della sua pensione parigina.
Arrestato a Firenze dopo il riconoscimento del dipinto, Peruggia fu condannato a un anno e mezzo di carcere, con attenuanti per infermità mentale. In Italia la sua ingenuità suscitò simpatia e la stampa lo elevò quasi a eroe nazionale. Il quadro, dopo una breve esposizione agli Uffizi, tornò trionfalmente al Louvre.
Il furto della Gioconda non solo accese il patriottismo italiano, ma trasformò definitivamente il dipinto di Leonardo in un’icona universale. Da allora, il suo enigmatico sorriso continua a essere il simbolo più potente del genio e del mistero dell’arte.
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