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IL RACCONTO

La tragica storia di Andrea Carnevale: "Mio padre ha ucciso mia madre. Ho vissuto con il timore di essere come lui"

Ilaria Albanesi

11 Ottobre 2025, 16:00

La tragica storia di Andrea Carnevale: "Mio padre ha ucciso mia madre. Ho vissuto con il timore di essere come lui"

Andrea Carnevale - ex calciatore di Roma Napoli e ora scout dell'Udinese - è ospite oggi, sabato 11 ottobreVerissimo per una lunga intervista dove ripercorrerà la sua dura storia personale, colpita da un tragico evento che gli ha cambiato la vita: la morte della madre per mano di suo padre.

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In un'intervista concessa al Corriere della Sera, l'ex calciatore ha raccontato che le violenze in casa erano diventate abitudine e lui era andato più volte dai carabinieri a denunciare quanto accadeva nelle mura domestiche - anche se aveva solo quattordici anni: "Papà era molto geloso, a casa c'era un clima di terrore, io ero lì quando lei prendeva schiaffi, botte. Insulti. Fino a quella mattina del 25 settembre del 1975: lui si è svegliato, ha preso l'ascia. Ha raggiunto mamma che stava lavando i panni nel fiume vicino casa. È andato ad ammazzarla. Sono corso lì, ho raccolto il sangue di mia madre e sono andato dai carabinieri: 'Lo vedete adesso il sangue?'".

"Per tanti anni ho vissuto il dolore ma anche il timore di essere come lui - ha continuato -. No, non sono lui. Questo ho capito quando l'ho visto. Ed è stato il primo passo verso la liberazione". Carnevali ha incontrato il padre in carcere due anni dopo il femminicidio, quando aveva 16 anni: "Due anni dopo il delitto. Volevo guardarlo negli occhi, mi aveva tolto tutto. Ebbene, l'ho visto e l'ho abbracciato. Forte. In qualche modo l'ho perdonato, con la consapevolezza di avere di fronte un uomo molto malato". Infatti, il padre, era schizofrenico e non era mai stato curato: "Non è stato mai curato, qualche anno dopo si è tolto la vita lanciandosi da una finestra davanti ai miei occhi".

Andrea Carnevale, subito dopo il delitto, si è chiuso in sé e ha dedicato la sua intera vita al calcio: "Ho vissuto sempre due vite. Il dramma familiare, la depressione, l’ansia, il timore che le mie sorelle fossero affidate ai servizi sociali, tutto senza parlare. Come un tabù, che non ci faceva elaborare il lutto. Bisognava combattere per evitare di disunirci, di darla vinta a chi voleva sgretolare quel poco che ci era rimasto. Eravamo poveri, facevamo fatica a trovare da mangiare. Il calcio ci ha salvati, tutti. Dopo Natali e feste di compleanno mai festeggiati".

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