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L'intervista

I delitti del demone etrusco tornano in libreria: riti antichi, indagini moderne e la prefazione di Dario Argento

Dopo tredici anni torna in una veste rinnovata il secondo capitolo della trilogia sugli etruschi di Riccardo Cecchelin

Sabrina Busiri Vici

04 Settembre 2025, 08:00

L’affresco nella tomba degli Auguri  a Tarquinia.

Con I delitti del demone etrusco (Eclissi Editrice), Riccardo Cecchelin riporta in libreria un thriller che a tredici anni dalla sua prima pubblicazione torna in una veste rinnovata, arricchito e inserito in una trilogia dedicata agli etruschi. Con la prefazione di Dario Argento, il romanzo si muove tra storia e mistero, ricostruendo antichi riti e leggende in un intreccio di delitti efferati e indagini contemporanee. Ne abbiamo parlato con l’autore, giornalista e scrittore, che racconta la genesi del libro e il fascino inesauribile della civiltà etrusca.


- Il suo nuovo libro fa parte di una trilogia...
Sì, sarà una trilogia. Il primo volume, il prequel, si intitola Il mistero del luogo Celeste – dove anche la morte poteva morire. Questo che esce ora è il secondo capitolo, I delitti del demone etrusco, mentre il terzo si chiamerà Il sangue di Porsenna.
- In realtà il secondo volume ha una storia editoriale particolare, giusto?
Esatto. Era un libro del 2011, scritto mentre lavoravo ancora al giornale. Allora uscì con una piccola casa editrice, vendette moltissimo, vinse premi e fu il romanzo che mi fece conoscere come autore. Ricordo la presentazione a Terni, con il rettore Marco Mancini, allora rettore dell’Università della tuscia e presidente dei rettori italiani, che disse davanti a duecento persone che dal mio libro si imparava più sugli etruschi che da molti trattati. Un riconoscimento che porto ancora con orgoglio.
- Adesso però torna in una nuova edizione. Con quali novità?
Ho rivisto il testo, approfondendo soprattutto il protagonista, questa figura enigmatica e indefinita – non si sa se uomo o donna che diventa “mostro” seguendo antichi rituali etruschi. Ho inserito collegamenti con il prequel e il sequel, rendendo i personaggi più sfaccettati, tridimensionali. Oggi il libro si presenta come parte di un disegno narrativo più ampio.
- Il romanzo è ambientato a Tarquinia. Perché questa scelta?
Perché Tarquinia è il cuore della civiltà etrusca e io stesso ho un legame forte con quel territorio. Nel libro cito ricerche reali, come lo studio sul dna condotto a Murlo dall’Istituto di Genetica di Torino, che confrontò il patrimonio genetico degli abitanti con quello delle ossa etrusche. Ho inserito questi elementi reali nella trama, insieme alle suggestioni che nascono dalle tombe dipinte, come quella degli auguri, dove è raffigurata una cruenta esecuzione che ho ripreso nel romanzo.
- C’è una prefazione d’eccezione, firmata da Dario Argento. Come è nata?
Conobbi Dario Argento anni fa, quando lavoravo a Il Giorno, e lo intervistai a lungo. Poi partecipai a un volume collettivo pubblicato da Fanucci, Dario Argento – il suo cinema, i suoi personaggi e le sue musiche, curato da Luigi Cozzi. Da lì è nato un rapporto che ha portato alla sua prefazione: poche righe, ma molto intriganti.
- Gli etruschi sono, dunque, essere la linfa vitale di tutta la trilogia.
Esatto, sono il vero motore. Io a Tarquinia ho vissuto a lungo, respirando questa presenza quotidiana. Già anni fa scrissi un libro con un tombarolo, La mia vita con gli etruschi, presentato anche al Maurizio Costanzo Show. Gli etruschi restano un popolo che ancora vive nel nostro immaginario, e io cerco di farli rivivere attraverso il thriller.
- A quale tradizione letteraria del giallo e del noir si sente più vicino?
Sicuramente al giallo classico: Agatha Christie, Rex Stout, Nero Wolfe, Ellery Queen. Ma anche ad autori contemporanei come Jeffery Deaver, che con Il collezionista di ossa mi colpì molto. Naturalmente non scrivo come loro, ma certe atmosfere e meccanismi narrativi ti influenzano inevitabilmente.


- E in cosa invece lei ritiene che la tua scrittura sia originale?
Nel doppio livello della ricerca. C’è l’indagine moderna, con le tecniche scientifiche, e c’è il passato, che torna vivo come se fosse presente. Credo che questo mix, questa “macchina del tempo” che si rimette in moto, sia la chiave del mio lavoro. E poi il tentativo di restituire spessore a un popolo dimenticato. Per esempio, molti non sanno che il proverbio “chiodo scaccia chiodo” deriva da un rito etrusco legato al Fanum, il grande santuario di Porsenna.
- Che reazione si aspetta dai lettori a distanza di oltre dieci anni dalla prima edizione?
Penso di trovare lettori nuovi, ma anche di ritrovare quelli di allora, mostrando loro un testo più maturo. Ho voluto dare più profondità ai personaggi, renderli tridimensionali, e credo che oggi il libro apra più porte, offra più spunti di riflessione.
- Sta preparando un tour di presentazioni?
Sì, ci saranno tappe a Milano, Roma, Terni, Tarquinia. E vorrei molto presentarlo anche a Perugia, magari al museo archeologico, perché anche l’Umbria è terra etrusca. Sarebbe un modo perfetto per riportare questa storia alle sue radici.

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