La storia
Jovanotti con Fred Morini sul palco del concerto ai Laghi di Fusine
Lorenzo Cherubini – per tutti Jovanotti – nelle scorse settimane è tornato in sella alla sua bicicletta per un viaggio carico di significato: da Cortona – in provincia di Arezzo – ai laghi di Fusine, in Friuli Venezia Giulia, dove il 26 luglio si è esibito nell’unico concerto dell’estate – in occasione del No borders music festival – diventato subito il Jova bike concert. Un percorso di 770 chilometri che non è stato solo una sfida fisica, ma un vero e proprio rito simbolico di rinascita personale. Il numero non è casuale perché 770 sta a indicare i giorni trascorsi dal grave incidente in bici avvenuto nel 2023 a Santo Domingo in cui ha rischiato la vita costringendolo a un lungo stop ma anche a un faticoso percorso di riabilitazione. "Uno per ogni giorno che è passato dal botto di due anni fa", aveva scritto sui social, dove ha anche raccontato tappa dopo tappa il suo viaggio tra emozione, fatica e paesaggi italiani. Un momento che ha rappresentato il culmine di un 2025 di rinascita completa: l’ospitata al Festival di Sanremo, il Pala Jova tour di 54 date che ha visto il cantautore cortonese di nuovo sul palco nonostante i tanti dubbi legati a una condizione fisica tutta da valutare alla prova dei concerti. Al fianco di questo percorso di rinascita, prima dietro le quinte e poi anche in bicicletta, Fred, all’anagrafe Federico Morini. L’ex ciclista professionista – è stato compagno di squadra di Davide Rebellin e ha corso negli anni di Marco Pantani – originario di Selci ora è un affermato osteopata e fisioterapista. E nel 2025 della rinascita di Jovanotti c’è anche il suo prezioso apporto.
Morini conosce bene i meccanismi di chi deve rialzarsi dopo le batoste della vita. Perché lo ha dovuto fare tre volte. Il primo incidente arriva quando stava per fare il salto di qualità da ciclista: “Avevo appena firmato il rinnovo del contratto con la Gerolsteiner, mi avevano voluto blindare con un quattro più uno perché alcune squadre tra cui la Mercatone Uno di Pantani e la Banesto dove aveva corso Indurain si erano interessate a me. Abitavo in Australia per preparare la stagione e così volai a Francoforte, firmai il contratto e poi decisi di passare a casa per festeggiare con i miei, non prima di un allenamento. Il primo in preparazione della nuova stagione. Era il 10 dicembre 2001 e sognavo la partecipazione al Giro d’Italia. In ballo c’era pure la Vuelta e, nel caso fossi uscito spremuto dalle classiche del Nord, il Tour de France anziché la corsa rosa. Alla fine della discesa della collina di Montesca una buca in un tornantino a sinistra mi fece sbandare, frenai con vigore e andai a sbattere sul guard rail. Rotolai per 15 metri, mi fermai sulla balaustra, quasi sospeso, vedevo la E45. Fu difficile recuperarmi per i vigili del fuoco, era quasi buio. Uscì anche l'elicottero e venne bloccata la superstrada. All'ospedale di Città di Castello, dopo due giorni senza sensibilità alle gambe e mia madre che piangeva a dirotto, arrivò il responso: paraplegia agli arti inferiori”.
Fred non si butta giù e inizia una seconda vita seppur dopo tante difficoltà. “Affrontai le prime terapie in Italia poi la Gerolsteiner mi portò in Germania, a Baden Baden, in una clinica in cui lavorano specialisti che poi hanno visitato anche Michael Shumacher. L’approccio fu militare, terapie all’avanguardia e metodologia rigida. Fecero un capolavoro e tornai a camminare e poi ad andare in bicicletta dopo un anno e mezzo. Sognavo sempre di partecipare al Giro d'Italia ma la schiena non mi dava tregua, avevo bisogno di un tempo più lungo per recuperare pienamente per tornare competitivo. A un Giro di Romandia la mia schiena fece crac e così cambiai mestiere, lo sport a un certo livello non può aspettare. Così grazie a Rebellin, a cui sarò sempre riconoscente, rimasi in Gerolsteiner entrando nello staff della squadra. Nel frattempo iniziai a studiare per diventare un terapista e osteopata, un obiettivo che cullavo da tempo e che avevo approfondito purtroppo come paziente… Nel frattempo cambio mestiere ed entro a lavorare per il reparto corse della Bianchi”. Morini ci racconta il secondo incidente: “E’ il 2014, un giorno entro in ufficio, a Treviglio, mi siedo e la sedia si rompe. Cado, colpisco la testa e vengo ricoverato a Bergamo. Stavolta è peggio della prima volta perché avevo tutto bloccato, anche le braccia e le sembianze erano quelle del tetraplegico comprese le mani chiuse e la testa inclinata. Grazie anche al supporto della mia famiglia abbiamo ricontattato i medici della prima volta, sono entrato in contatto con un luminare degli Stati Uniti che ha collaborato con i medici di Bergamo. Poi sono stato trasferito all'unità spinale di Perugia, all'ospedale Santa Maria della Misericordia, dove sono stato preso in cura dallo staff della dottoressa tedesca Mask. Rimasi ricoverato tre mesi e mezzo, fecero un ottimo lavoro con la riattivazione passiva degli arti. Poi sono stato trasferito in Toscana, vicino Arezzo, alla clinica Agazzi. Chiuso lì quattro mesi e mezzo tornai in piedi grazie a protocolli speciali del dottor Molteni, poi impegnato anni dopo anche con Zanardi”. Ma per non farsi mancare niente scopre anche di avere il cancro. “Sì, allo stomaco. Lo trovano nel 2016 mentre mi sto curando per rimettermi in piedi dal secondo incidente. In quel momento faccio una sorta di fioretto mettendomi in testa di fare una maratona nel caso di guarigione da entrambe le situazioni. Così ho iniziato a corricchiare, tra un ciclo e l’altro di chemio. Alla fine saranno otto. In quel periodo ho pensato di non farcela, ho avuto paura. Con la mente cerchi qualcosa che possa estraniarti dalla quotidianità fatte di cure. E quel qualcosa per me è stato correre. E lo studio. Mi sono specializzato come terapista e osteopata”. Nel frattempo quel fioretto Morini lo porta a casa correndo la maratona di New York nel 2018 e poi di nuovo nel 2023. Una volta guarito Fred inizia la sua terza vita, quella attuale, in cui da fisioterapista e osteopata ha aperto due poliambulatori. “Nel mio nuovo lavoro in poco tempo le cose sono andate veloci. Anche grazie ai tanti contatti costruiti negli anni del ciclismo e nelle mie vicissitudini di salute”.
Adesso Morini fa parte del team di Jovanotti. Ma come è nata la conoscenza? “Alcuni anni fa, prima del covid avevo avuto la moglie come paziente. Aveva un problema al ginocchio che non riusciva a risolvere, io ci sono riuscito. Poi pochi mesi fa, a ridosso dell’inizio del PalaJova tour, il suo fisioterapista storico Fabrizio Borra che non poteva più affiancarlo quotidianamente a causa di alcuni problemi di salute (poi è morto lo scorso 11 maggio, ndr) e così ha dovuto pensare a un sostituto. La sera prima della prova generale Lorenzo ha avuto un problema alla schiena e così sono andato a trattarlo riuscendo a metterlo in piedi per la prima data di Pesaro a fine febbraio che stava per essere rimandata. A quel punto mi ha chiesto di seguirlo per tutto il tour ma io avevo già impegni presi, anche con la Nazionale di ciclismo. Ma con il suo management abbiamo trovato un’intesa e alla fine io l’ho trattato in 34 date su 54”. In cosa consiste il trattamento fisioterapico ce l’ho riassume lo stesso Fred: “Non voglio entrare troppo nei dettagli ma per il danno fisico che ha avuto e che riguarda l’anca, la testa del femore e il ginocchio della gamba sinistra, nessuna persona normale riuscirebbe a fare quello che fa Lorenzo, abituato a saltare tantissimo sul palco. L’anca per esempio ha delle limitazioni ma con i trattamenti cerchiamo di renderle meno invasive possibili”. Morini ci racconta anche il legame nato con Jova. “Ti racconto questo aneddoto. La sera dopo la prima data del tour, a Pesaro, ho portato anche mia figlia. Dopo averlo massaggiato a fine concerto io sono tornato a dormire a casa. Bene, proprio mentre entravamo in casa alle due di notte è arrivato il suo sms che mi chiedeva se fossi rientrato e se il viaggio era andato tutto bene. Questo dice molto, un grande artista che dopo una serata per lui importantissima pensa a un suo collaboratore… non è da tutti. Poi lui è come appare, molto empatico. Ed è come i grandissimi atleti. Molto attento agli aspetti psicofisici e mentali, ha una cura maniacale del corpo. Durante il tour non ha mai mangiato un dolce, mai un bicchiere di alcol. Solo a Bologna, dopo l’ultimo concerto, si è concesso un brindisi e un gelato. E poi è molto attento alle esigenze del suo team”. Di cui ormai Morini fa parte insieme a Maria Vittoria Griffoni – cheffa famosa e viralissima per la ricetta delle ova alla Jova – ai figli di Borra, Luca e Daniele anche loro fisioterapisti come Alfredo Dente, Valentina Carlile fondamentale osteopata delle corde vocali anche quelle da trattare dopo l’incidente a Santo Domingo. Morini poi si lascia andare a una confessione: “Lorenzo mi fa quasi da fratello maggiore ormai, il rapporto va oltre quello professionale. Un mese e mezzo fa ho dovuto cambiare il pacemaker neuromodulatore vescicale che gestisce vescica e migliora la conduzione nervosa dalla colonna vertebrale agli arti inferiori. Viene gestito da remoto dall’unità spinale del cto Firenze ed è un lascito dei miei incidenti. Ci devo convivere. Ecco Jova ha voluto sapere tutto. Logicamente gli infortuni ci legano, fanno parte dei nostri argomenti. Devo dire poi che a lui piace conoscere, su anatomia e corpo umano è molto documentato”.
Finito il tour Jovanotti ha deciso di riprendere la bici. E fare il concerto per appassionati delle biciclette solo dopo aver percorso i 770 chilometri con la bici da strada. Ha voluto vincere la sfida completando il percorso di rinascita. Al suo fianco ha voluto nuovamente Fred, come professionista della fisioterapia ma anche come amico e gregario. Da Cortona ai laghi di Fusine.
Fred lo ha agganciato a Sansepolcro e poi da lì sempre insieme. Lungo la strada si sono uniti altri amici. Gli ex ciclisti professionisti Daniele Bennati e Paolo Bettini (anche ex ct dell’Italia), Augusto Baldoni rivenditore di bici e amico storico di Jova oltre che compagno d’avventura e di tanti chilometri in Sud America, la cheffa Griffoni. Dalla provincia di Arezzo sino in Friuli passando per il monte Fumaiolo, dove nasce il Tevere, per Bagno di Romagna, Predappio, Castrocaro, Ravenna, Taglio del Po, Chioggia, Jesolo, Gemona, Tarvisio. Tra pit stop per rifocillarsi, selfie con i fan incontrati nei percorsi, scherzi e battute – tutto condiviso sui social grazie al lavoro del creator digitale Michele Lugaresi – Jova ha anche avuto modo di dedicare alcuni reel proprio a Fred e alla sua storia.
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“Questa esperienza ha avuto un forte valore simbolico. A Lorenzo poi piace tanto il binomio benessere-musica, il concerto per i ciclisti credo possa diventare un format…” ci racconta Fred.
Che traccia il bilancio di questi mesi. “Lorenzo doveva trovare delle risposte dentro di sé. Rigenerare la propria autostima. Sul palco e in bicicletta. Pensate che per fare i 770 chilometri sino in Friuli ha utilizzato la stessa bici con cui ha rischiato di morire. Averlo affiancato in queste due sfide per me è stato motivo di orgoglio e un grande arricchimento. Anche extraprofessionale. Sono stato al fianco di Filippo Ganna quando ha vinto l’oro olimpico, ma un’esperienza simile con un artista del genere è qualcosa di diverso. E la frase che mi ha detto una volta finito il tour a Bologna è indimenticabile…”. Fred tergiversa, poi ce la svela: “Ero abituato molto bene. Ma tu non mi fai mancare niente con i tuoi trattamenti. Molto merito è tuo se ho portato a casa il tour, sei della squadra…” sono le parole che gli ha dedicato Lorenzo.
Da osteopata con i cerchi olimpici a osteopata di Jovanotti il viaggio di Fred, l’uomo nato tre volte, continua.
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