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Rivedi “Le ali della libertà” su Rete 4? Ti spieghiamo perché non è solo una storia di carcere

Il capolavoro con Tim Robbins e Morgan Freeman torna in TV. Ma sotto la superficie, è una storia di potere, speranza e resistenza. Ecco perché ci parla ancora, nel 2025

Ambra Costanzi

17 Maggio 2025, 14:16

Rivedi “Le ali della libertà” su Rete 4? Ti spieghiamo perché non è solo una storia di carcere

Le ali della libertà, il film torna in tv

Sabato 17 maggio, Rete 4 ripropone Le ali della libertà (The Shawshank Redemption, 1994). Uno di quei film che passano in TV così spesso da sembrare consumati. Ma non lo sono mai.

Perché ogni volta che lo riguardi, ti rendi conto che non parla di ieri. Parla di adesso.

Chi ha già visto il film ricorderà: la storia di Andy Dufresne (Tim Robbins), banchiere condannato ingiustamente all’ergastolo, e di Red (Morgan Freeman), compagno di prigionia e voce narrante, è molto più di un dramma carcerario.
È una riflessione profonda su cosa succede quando il sistema si chiude su di te, su come si sopravvive (o si muore) in ambienti ostili. E soprattutto: su chi riesce a restare umano quando tutto intorno cerca di spegnerti.

Nel 2025, Le ali della libertà parla al nostro tempo con parole nuove. Il carcere di Shawshank può essere letto come metafora di una società oppressiva, burocrazia cieca, immobilismo istituzionale.
Andy è l’uomo che non si arrende, anche quando tutti gli dicono che è inutile sperare. Anche quando ogni mossa sembra inutile.
Vi ricorda qualcosa?

In Italia, in un contesto di crisi politica perenne, giustizia lumaca e senso di impotenza crescente, Le ali della libertà torna ad essere un film che dà una risposta concreta alla domanda più scoraggiante: "Che senso ha resistere?"

La scena del martello: il potere della pazienza

Una delle scene simbolo del film è il tunnel scavato con un piccolo martello da roccia. Ci mette 20 anni. È una lezione sul tempo e sulla determinazione. In un’epoca in cui tutto dev’essere istantaneo – la giustizia, il successo, la libertà – Le ali della libertà ci ricorda che ci sono battaglie che si vincono in silenzio, a colpi lenti, invisibili.

Perché la TV lo manda ancora in onda?

Perché funziona. Perché commuove. Ma anche perché ha ancora qualcosa da dire.
In un mondo sempre più rumoroso, Le ali della libertà parla sottovoce, eppure entra più in profondità di mille talk show.
E se Rete 4 lo programma ancora oggi, è perché, consapevolmente o no, gli spettatori ne hanno bisogno. È cinema che non invecchia perché tocca un nervo scoperto che nessuna generazione ha mai davvero guarito.

Non è la libertà fisica che ci manca, spesso. Ma quella mentale. La possibilità di pensare che le cose possano cambiare. Andy Dufresne ci crede anche quando tutto gli dice il contrario. E ci riesce.
Non è un eroe. È un resistente. Uno che sa che la speranza non è una favola buonista, ma una forma di disobbedienza interiore.

Le ali della libertà è un film che dovremmo riguardare non perché ci fa stare bene, ma perché ci fa sentire vivi.
E nel 2025, tra algoritmi, guerre a distanza e società che si blindano, ci serve più che mai una storia di chi – con pazienza e intelligenza – scava per evadere da tutto questo.

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