Royal Family
Re Carlo III e la Regina Camilla durante la visita ufficiale alla National Gallery di Londra, tra arte, simbolismi e diplomazia culturale (LaPresse)
Quando Carlo III è apparso alla National Gallery con Camilla, molti hanno visto solo il sovrano tra i quadri. Pochi hanno notato la cravatta: azzurra, punteggiata di piccole torri stilizzate. Non era un vezzo estetico. Era un messaggio.
Le torri sono simbolo antico di custodia, stabilità e protezione. Non casualmente, l’azzurro – colore araldico della lealtà e della perseveranza – amplifica il sottotesto: la monarchia come baluardo di continuità in tempi turbolenti. Una dichiarazione silenziosa, ma chiara, proprio mentre il Regno Unito naviga le onde post-Brexit e le spinte antimonarchiche.
Non è solo simbolismo di giornata. Carlo III ha sempre usato l’arte per comunicare il proprio pensiero. È un acquerellista di discreto talento – le sue opere hanno raccolto milioni per beneficenza – e un convinto sostenitore dell’architettura classica.
Nel 1984, definì il progetto modernista di ampliamento della stessa National Gallery un “mostruoso bubbone”. Quel commento non solo cancellò il progetto, ma fece capire al mondo che il principe (allora) e futuro re non avrebbe mai abbracciato l’arte della rottura fine a se stessa. La sua visione: arte e bellezza al servizio dell’armonia sociale e spirituale.
Accanto a lui, Camilla ha scelto un percorso meno plateale ma non meno rilevante. Sostiene l’arteterapia e ha partecipato personalmente a laboratori con pazienti oncologici. Per lei, l’arte non è solo esposizione museale, ma strumento di cura e resilienza. Una regina che preferisce i laboratori agli atelier.
La visita alla National Gallery, culminata nella presentazione dei nuovi ritratti ufficiali dei sovrani, non era una semplice passerella. Era una prova di soft power ben calibrata.
In un Regno Unito che fatica a definire la propria identità culturale dopo Brexit, la monarchia si presenta ancora una volta come garante e ambasciatrice della tradizione artistica nazionale. Come ha osservato un funzionario di Buckingham: “La politica può solo sognare il tipo di consenso che la cultura ottiene.”
Quando Carlo si è aggiustato la cravatta prima di uscire, il gesto ha chiuso il cerchio. Le torri sul petto, i quadri intorno, il popolo di fronte. Non era solo un re che visita una galleria. Era il messaggio di una monarchia che non intende solo sopravvivere, ma guidare la narrazione culturale del Paese. Un castello non è un ricordo del passato. È una promessa di resistenza.
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