Violenza contro le donne
La presidente di Udi Perugia, Sara Pasquino
Tanti incarichi in associazioni e un lavoro, svolto con coerenza e passione, che poggiano su un unico perno: combattere la violenza di genere e difendere le donne. Le vittime a uscirne e le potenziali vittime ad acquistare consapevolezza. L'avvocata Sara Pasquino, da due anni anche presidente di Udi è tra coloro che 10 anni fa a Perugia hanno aperto il primo centro antiviolenza.
- Dottoressa Pasquino, lei ha una lunga carriera interamente incentrata sulla difesa delle donne. E' stata responsabile dei centri antiviolenza, è avvocata che si occupa principalmente di questi casi ed è presidente dell'associazione unione delle donne d'Italia a Perugia, come si estirpa questo fenomeno?
Attraverso un cambiamento sociale prima che ancora culturale, dobbiamo essere consapevoli che ci deve essere una sinergia di intenti e di azioni tra istituzioni scuola e famiglie. Spesso sentiamo parlare di parità e di uguaglianza tra uomini e donne, ma stanno diventando concetti astratti e poco rispondenti a quelle che sono le vere istanze delle donne, che parlano di libertà e rispetto per scelte autodeterminate. Un vero cambiamento sarà possibile solo con una nuova visione delle relazioni, che valorizzi le differenze, che non tratti il problema strutturale della violenza come un'emergenza, ma la libertà delle donne si costruisce giorno dopo giorno attraverso una educazione sessuo-affettiva nelle scuole, linguaggi e modelli positivi. I centri antiviolenza non devono essere considerati come luoghi lontani da noi, dove le donne trovano solo rifugio dopo che la violenza si è consumata, sono certamente anche posti sicuri e liberi, dove le donne trovano supporto e accoglienza, ma sono molto altro: laboratori culturali dove fare politica per e con le altre donne. Basti pensare a quanta strada abbiamo fatto ad esempio a Perugia da quando siamo riuscite ad aprire il primo centro antiviolenza: abbiamo costruito una rete, non abbiamo accolto solo donne e minori, ma abbiamo costruito un sistema integrato con istituzioni e servizi, quando ero responsabile del centro antiviolenza e partecipavo ai primi tavoli di lavoro, la maggior parte delle persone con le quali mi interfacciavo non sapeva neanche cosa fosse un Cav, oggi, dopo circa 10 anni, tutto è cambiato. Quando ci sediamo ai tavoli istituzionali tutti sanno cosa facciamo e come lavoriamo, quando si organizzano iniziative o incontri sui temi di genere i cav partecipano, quando a scuola si indicono le assemblee vengono invitate le operatrici antiviolenza. Nei cav si alternano tirocinanti e operatrici, si fanno progetti con le scuole, insomma anche questo è contribuire ad una nuova visione delle relazioni.
- Come Udi, insieme ad altre associazioni state promuovendo una campagna con dei manifesti in cui si legge “E' un problema mio”.. ce ne parla? Cos'altro prevede?
Nel 2022 insieme a Terni Donne Libera...Mente Donna Rete delle Donne Antiviolenza e Forum Donne Amelia, ovvero cinque associazioni femministe hanno deciso di collaborare e hanno presentato un progetto che verrà realizzato con il contributo della Presidenza del Dipartimento delle Pari opportunità. La violenza contro le donne non è un fatto privato, è lo specchio della società e quindi se il problema è strutturale, la responsabilità deve essere collettiva e deve necessariamente coinvolgere gli uomini. É arrivato il tempo che ogni uomo inizi a guardarsi dentro per decostruire modelli di mascolinità incentrati su concetti di forza o controllo. IL progetto avrà la durata di due anni e si articolerà in due filoni: uno comunicativo attraverso una campagna pubblicitaria tra cui: affissioni pubbliche, produzione e diffusione di pillole video ispirate agli incontri con le giovani generazioni, pubblicazioni su riviste online e condivisione di contenuti attraverso i canali social e un altro educativo attraverso interventi presso scuole secondarie di primo e secondo grado partner del progetto, centri giovanili, ricreativi o sportivi. Non mancheranno, inoltre, attività di sensibilizzazione e informazione con genitori, docenti e professionisti.
- Serve un cambiamento culturale, nei primi incontri a scuola che avete fatto, cosa ha riscontrato?
Abbiamo iniziato da poco e durante i primi laboratori siamo partite dal tema centrale. “Se questo è un uomo”, abbiamo guardato insieme ai ragazzi e alle ragazze i modelli di maschilità che attraversano la nostra società: quelli che educano alla forza come controllo, alla distanza emotiva come protezione, al silenzio come unica risposta possibile. In classe abbiamo aperto uno spazio diverso: uno spazio per interrogarsi, per fare domande, per mettere in discussione ciò che sembra “normale”. Abbiamo parlato di maschilità positive — fatte di cura, presenza, responsabilità — e di come riconoscerle dentro e fuori di sé.
- Come avvocata le succede spesso che le vittime ritirino le denunce? Che vuol dire?
Certamente, capita perché le violenze avvengono nella maggior parte dei casi tra persone legate da una relazione sentimentale o affettiva, non si tratta di denunciare uno sconosciuto che ci ha fatto del male o sottratto qualcosa, no! Si tratta di denunciare una persona a cui abbiamo voluto bene, di cui ci siamo fidate, affidate, con cui abbiamo magari costruito quella che nel nostro immaginario doveva essere una famiglia felice. Prendere e distanze da una violenza agita da una persona su cui erano state riposte aspettative di tutt'altro genere non è semplice ed in questo la società non aiuta, perché giudica sempre le donne. Basti pensare al fatto che se mi rubano l'auto nessuno si sognerebbe mai di dirmi che è anche una mia responsabilità, se invece vengo derubata della libertà come accade nei casi di violenza le reazioni sono: “Però tu lo sapevi lui com'era fatto...” lasciando trapelare il giudizio per aver in qualche modo contribuito al verificarsi della rapina.
- Da quando ha iniziato a occuparsi di queste tematiche, c'è maggiore consapevolezza?
Assolutamente si, in particolare da parte delle nuove generazioni che sono molto più consapevoli. IL cambiamento è in corso, il sistema patriarcale è ferito però proprio perché ferito reagisce con maggior vigore e le donne continuano ad essere violate e uccise. Questo non ci deve spaventare, ma invogliare a continuare perché forse un giorno potremo avere in ogni città un museo del patriarcato, come a Roma in questi giorni. Un ricordo di un mondo ingiusto, ma lontano. Io non ci sarò, ma voglio credere che si possibile.
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