Ci sono voluti 22 anni per mettere la parola fine nella tragica vicenda della morte di Renatino, che il 17 maggio 2003 morì per overdose da eroina nella sua casa di Umbertide. Il 17enne aveva acquistato una dose di eroina da un coetaneo per cui, oggi 38enne, la Cassazione – dopo una condanna a due anni e otto mesi in secondo grado – aveva dichiarato, escludendo la possibilità di una pronuncia assolutoria, la prescrizione.
È di due giorni fa invece l’altra sentenza emessa dalla Cassazione, dalla terza sezione civile, che ha messo un punto sul procedimento relativo al risarcimento. Rigettando il ricorso presentato dall’uomo che aveva ceduto la dose all’amico e dai suoi genitori - ritenuti responsabili del danno causato dal figlio – rende quindi definitiva la sentenza di secondo grado secondo la quale i genitori di Renatino - anche se il padre è deceduto recentemente - devono essere risarciti con 124 mila euro l’uno, mentre le due sorelle con 42 mila euro.
Il fulcro dei processi, sei lunghissimi gradi di giudizio tra penale e civile, è sempre stato il nesso causale tra l’assunzione di quei 30 milligrammi di eroina, ceduti dall’amico che aveva preso la dose a Perugia, e la morte del ragazzo in casa sua. Renato infatti, come è emerso con diverse perizie, soprattutto quella che venne eseguita nell’ambito del procedimento penale minorile, dalla tossicologa Paola Melai, oltre alla dose di eroina che gli era stata ceduta dall’amico, aveva assunto anche cocaina ed era anche in stato di intossicazione alcolica.
Per questo motivo il risarcimento riconosciuto ai familiari della vittima è stato ridotto, “in conseguenza del contributo causale riconducibile alla condotta del minorenne deceduto”. Rigettata invece dai giudici della Corte Suprema l’istanza avanzata dai genitori di chi aveva ceduto la dose che chiedevano un’ulteriore riduzione del risarcimento in forza della presunta responsabilità dei genitori della vittima. L’avvocato Maurizio Barbagianni, che ha assistito la madre insieme al collega Pasquale Costantino, adesso chiede di mettere in evidenza “la forza dimostrata da questa donna, che ha atteso oltre 20 anni per vedere scritta la parola fine in questa drammatica storia”. Era stata lei infatti a ritrovare in camera sua il figlio morto per overdose.