Spoleto
La vittima, Laura Papadia
Laura Papadia avrebbe tanto voluto diventare madre. Ma quel desiderio di genitorialità non era condiviso con il marito, in stato di fermo con l’accusa di omicidio volontario dopo aver confessato di aver ammazzato la moglie all’alba di mercoledì mattina. In passato c’erano state discussioni tra i due per questa differenza di vedute. E proprio questo argomento, potrebbe essere stato l’innesco dell’ultimo litigio prima dell’omicidio. Tanto più che, nella casa del delitto, al quarto piano della Rocca dei Perugini, in via Porta Fuga e in pieno centro storico a Spoleto, gli inquirenti hanno trovato dei test di gravidanza.
Non è un mistero che, in ambienti investigativi, l’argomento maternità, sia un aspetto su cui si stanno svolgendo tutti i necessari accertamenti. Non solo medico legali, ma anche testimoniali. In queste ore infatti, dopo il lunghissimo interrogatorio di mercoledì pomeriggio gli agenti della mobile di Perugia - alla guida della dirigente Maria Assunta Ghizzoni - insieme ai colleghi del commissariato di Spoleto stanno verificando tutti gli elementi forniti da Gianluca Nicola Romita durante la confessione. Perché, secondo quanto trapela, quella confessione torna fino a un certo punto. Esclusa ogni diversa responsabilità sull’omicidio, restano moltissimi punti da chiarire, se non da scoprire. Elementi di cui forse è stata fornita una versione di comodo. O forse volutamente taciuti.
E per farlo, i poliziotti - coordinati dalla procura di Spoleto alla guida del procuratore Claudio Cicchella e del sostituto di turno, Alessandro Tana - stanno ascoltando tutte le persone vicine ai due coniugi. Le amiche e i parenti di Laura prima di chiunque, per capire se c’era dell’altro oltre a quello che Romita, nel corso della sua confessione fiume, ha definito un “matrimonio in crisi”. Una confessione lunga e dettagliata, lucida, che avrebbe destato ben più di una perplessità. Soprattutto con riguardo a un delitto dallo stesso assassino definito “d’impeto”. Lo stesso ovviamente si sta facendo nell’ambiente familiare e amicale di Romita: un matrimonio finito alle spalle, due figli, di cui uno già grande, aveva un precedente di polizia per minacce nei confronti degli ex suoceri. Assunto da una cantina dello Spoletino nel 2023, quando con Laura si erano trasferiti nella città del festival, non sembra avere molte conoscenze in zona. Ad ogni modo, tutte quelle esistenti, in queste ore verranno ascoltate dagli inquirenti.
A partire dai datori di lavoro della cantina a cui il 47enne - adesso in carcere a Spoleto in attesa dell’udienza di convalida - ha telefonato mercoledì mattina poco prima delle 8 dicendo che non sarebbe andato al lavoro perché stava poco bene. Avrebbe chiamato più volte il titolare della cantina, tentando anche di lasciargli il numero di un congiunto, senza però spiegare il motivo. Sempre a lui, la scorsa settimana, aveva anche annunciato che avrebbe avuto bisogno di una trentina di giorni di ferie per non meglio precisati problemi in famiglia. Richiesta che poi si sarebbe rimangiato all’inizio di questa settimana. Una stranezza che alimenta i sospetti degli inquirenti.
Così come il comportamento tenuto dal 47enne dopo l’omicidio. L’uomo infatti ha effettuato diverse chiamate, oltre quella al datore di lavoro, al 112 e alla ex moglie a Oristano, che ha dato l’allarme dalla Sardegna, prima di incamminarsi verso il Ponte delle Torri dicendo di volersi gettare nel vuoto. Non solo riscontri testimoniali: i poliziotti nelle ultime ore sono andati a perquisire l’automobile dell’omicida reo confesso, che si trovava nella cantina per cui lavorava. Allo stesso modo, gli agenti stanno acquisendo tutti i video delle telecamere di sorveglianza della zona, di proprietà del Comune e tutte funzionanti, per ricostruire il tragitto effettuato da Romita dopo essere uscito di casa e per collocare anche temporalmente la successione degli eventi.
E’ intuibile poi che la visione delle telecamere potrebbe anche servire a verificare se il 47enne sia uscito dal palazzo a mani vuote oppure no. Il sospetto è che l’uomo possa essersi disfatto di qualcosa. Magari un cavo o un corda con cui potrebbe avere strangolato la moglie. Al momento infatti non è ancora chiaro se Laura Papadia, nata a Palermo 36 anni fa, vicedirettrice stimata e piena di amici di un supermercato in centro a Spoleto, sia stata strozzata a mani nude oppure con qualche oggetto.
La polizia scientifica, intervenuta mercoledì mattina nell’appartamento in cui si è consumato il femminicidio ha sequestrato moltissimi reperti, alcuni dei quali - federe, lenzuola e asciugamani - che potrebbero essere compatibili con una morte per strozzamento. Ma, come anticipato ieri, Laura prima di arrendersi alla furia assassina del marito, ha provato a difendersi: sul volto infatti aveva delle tracce di sangue. Quali altre verità custodisca il suo corpo, si potrà capire solo con l’autopsia, che verrà effettuata nei prossimi giorni.
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