IL RACCONTO
Eccoli, dietro il banco della frutta, come sentinelle di un mestiere che resiste al tempo e alle mode. Nel cuore di Foligno, tra cassette di mele lucidate a mano e profumi di stagione, Mario D’Alessi e il nipote Massimo sono rimasti gli ultimi fruttivendoli del centro storico. Una presenza quasi controcorrente, in una città che un tempo ne contava una dozzina e oggi li ha visti scomparire uno dopo l’altro, travolti dalle pensioni degli anziani commercianti e dall’avanzata silenziosa dei supermercati.
Zio e nipote portano sulle spalle due generazioni di storia, di lavoro quotidiano e di sacrifici. A raccontarla è Mario, con la voce di chi ha visto cambiare tutto: “Ha iniziato mia nonna. Prima ancora di aprire il negozio in via XX Settembre – poco distante da dove lavoro io oggi – vendeva in piazza dell’Erba. Si trascinava dietro un carretto pieno di ogni ben di Dio”.
Un’immagine che sa di altri tempi.
“Oggi i coltivatori diretti in piazza si contano sulle dita di una mano, anzi meno. Dopo di lei ha continuato mio padre, che era coltivatore diretto e portava in negozio i prodotti di stagione della nostra campagna”.
Un racconto che si intreccia con una fotografia più ampia del settore. I negozi tradizionali di frutta e verdura sono in calo ovunque, schiacciati dalla crisi dei prezzi che spinge le famiglie a ridurre gli acquisti, dalla concorrenza della grande distribuzione e dai cambiamenti demografici. Resistono un po’ di più nei centri minori, mentre nelle grandi città a tenere aperte le saracinesche sono spesso nuove imprese, anche straniere. I consumi di prodotti freschi diminuiscono, sostituiti da cibi pronti e confezionati. Eppure l’ortofrutta tiene, più di altri settori alimentari: qualità e freschezza restano un valore, anche se il prezzo è inevitabilmente più alto rispetto al supermercato.
Sul futuro, Mario allarga le braccia in un gesto che dice più delle parole: “Credo che anche questo lavoro sia destinato a morire. Sono cambiate le abitudini, soprattutto dei giovani, che per una questione di tempo preferiscono comprare tutto al supermercato”. La merce arriva in gran parte dal Sud, “dove il sole splende quasi sempre”, anche se qualche prodotto locale riesce ancora a trovare spazio. E sulla frutta nelle abitudini alimentari dei folignati, il quadro non è rassicurante: “Le giovani – mi dicono le madri quando vengono a fare la spesa – ne mangiano sempre meno, nonostante i medici continuino a consigliarla”.
Accanto a lui c’è Massimo, trent’anni, lo sguardo di chi ha scelto di restare. “Ho iniziato con mio zio circa dieci anni fa. Venivo dall’istituto professionale e ho accettato volentieri di fare il fruttivendolo”. Una scelta che si è trasformata in un progetto: pochi anni fa ha aperto un suo negozio in via Santa Maria Infraportas, costruendosi una clientela fedele.
Ai giovani, Massimo il consiglio lo dà senza esitazioni: “Assolutamente sì.” È un bel lavoro, ma difficile. Io lo faccio con passione. Poi spiega perché: “Il rapporto con i clienti richiede tanta pazienza. E se non conosci bene quello che vendi sei rovinato. Bisogna studiare, informarsi, e stare attenti ai quantitativi da acquistare, perché frutta e verdura se restano invendute si rovinano in fretta”.
Tra cassette, bilance e stagioni che si rincorrono, Mario e Massimo continuano così a presidiare un mestiere antico. Non solo venditori di frutta, ma custodi di un rapporto diretto con il cibo e con le persone, in una città che cambia più in fretta delle sue abitudini migliori.
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