FOLIGNO
È un presepe che sorprende e spiazza, perché non è la classica rappresentazione da guardare in silenzio, dietro una teca o sotto una navata. Questo vive all’aperto, in montagna, esposto al freddo e al vento dell’inverno. Sta lì, sulla scarpata che guarda la vecchia statale 77 Val di Chienti, e sorprende chi passa diretto a Colfiorito.
I personaggi sono manichini consumati, spesso senza mani o senza gambe, sorretti da bastoni perché il terreno è scosceso. Indossano abiti comprati a un euro nei mercatini dell’usato. Eppure, proprio in quella precarietà, la scena prende forza. Ogni anno cresce, si arricchisce di nuovi dettagli, attira sguardi e curiosità.
Siamo a Leggiana, piccola frazione di Foligno, davanti al cimitero. Qui da quindici anni prende forma il presepe ideato e curato da Nazzareno Barbetti, 78 anni, un regista fuori dagli schemi, eclettico e visionario.

“È nato come un sogno a occhi aperti – racconta -. Molti mi criticano perché i personaggi vestono abiti di oggi, ma io li compro usati sotto i Canapè a Foligno. Questo presepe è nato per far rivivere questo posto”. Un luogo che Barbetti ha bonificato con i permessi della Forestale, strappandolo ai rovi che stavano per inghiottire la chiesetta della Madonna del Sasso.
Bancario per una vita, viaggiatore instancabile durante le ferie, Barbetti non si è mai sposato. La sua famiglia era di Leggiana, il padre faceva il muratore. Oggi, da pensionato, rivendica il diritto – e il dovere – di restare “produttivo”. “Creare, inventare non è solo un’esigenza personale – dice – è una terapia contro gli acciacchi dell’età. E poi così do una mano anche ai ragazzi extracomunitari della frazione La Franca, che qui mi aiutano e ai quali regalo sempre qualcosa”.
Il paesaggio intorno sembra dargli ragione. “Custodisce un ritmo segreto – spiega -. Basta fermarsi un attimo per sentirlo: il respiro lento della terra, il filo teso tra passato e presente”. È lo stesso ritmo che chi vive qui prova a seguire, nonostante lo spopolamento iniziato dopo il terremoto del 1997 e l’isolamento imposto dalla nuova variante della statale. In paese sono rimasti in pochi, ma con orgoglio. Le chiavi ancora infilate nelle porte di casa raccontano una tranquillità che non ha bisogno di slogan.
Per arrivare alla chiesetta attraversiamo il fiume Menotre a bordo della jeep di Barbetti. “Un tempo – spiega – era fondamentale per l’economia della valle: mulini, cartiera, irrigazione. Oggi di notte ci bevono caprioli e cinghiali. Qualche volta mi hanno buttato giù i personaggi del presepe”.
La chiesa, sconsacrata, è del XIV secolo. Sulla porta, una Natività dipinta nel 2011 da Eraldo Stefanucci, falegname e artista dilettante di Scopoli. “Mi piacerebbe farci un campanile, anche solo di legno – sorride Barbetti -. Chissà se mi daranno il permesso”.
Qui visse anche un eremita che offriva riparo e un piatto caldo ai viandanti. Più a valle, una piccola edicola quattrocentesca conserva tracce di antichi affreschi. Fu proprio Stefanucci a suggerire l’idea del presepe: tre o quattro statue all’inizio, poi la luce, pagata di tasca propria, e oggi una scena illuminata che di notte colpisce chi passa. Tra i personaggi spunta anche Marilyn Monroe, con sottofondo di musiche natalizie.
Alla fine Barbetti si passa le mani tra i capelli e sorride amaro: “Mi hanno rubato una pecora e un maiale di plastica”. Sulla vecchia statale, di notte, non passa quasi nessuno. Ma il presepe resta lì, ostinato e fragile, come il suo ideatore. Un atto d’amore verso un luogo che resiste.
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