GRAFFITI
Circondati come siamo da reel, X, Instagram, podcast, tik tok, truth (è il social di Trump, solo per uomini duri), nonché dal vecchio facebook (ormai rifugio preferito da vecchi boomer un po’ grafomani) e da tutto il resto arrivato dai garages della Silicon Valley, restiamo affascinati ogni qualvolta ci troviamo dinnanzi ad una comunicazione affidata ancora a sistemi del secondo millennio. Un cartello in metallo, una insegna di legno o, addirittura, un foglio A4 scritto a mano. Malissimo, ma ormai alle elementari non si insegna più “calligrafia”, materia che negli anni ’60 mieteva bocciature a raffica. E nessun genitore si sentiva in diritto di protestare, anzi, metteva sotto il reprobo a scrivere quaderni interi con frasi di senso compiuto.
I cartelli, allora. Non tutti hanno il pregio della chiarezza, spesso confondono le idee con inutili giri di parole che nessuno proverà a leggere (e capire), dando la netta sensazione che l’estensore sia qualcuno dei succitati boomer, al quale evidentemente non bastava facebook.

Prendiamo uno degli ultimi installati nei parchi della città, posto in alto, molto in alto, un po’ come gli orari dei bus al Terminal Fontivegge, perché notoriamente noi perugini non discendiamo dagli Etruschi, ma dai Watussi. Si parla, in concreto, di “attività consentite nei parchi urbani”, di raccomandazioni varie, di consigli per l’allerta meteo (perché?). Sicuramente tutte cose giustissime, ma anche illeggibili sia per la scelta dei colori dei caratteri sia per lo sterminato elenco. Non ci siamo riusciti neppure fotografandolo e poi ingrandendolo. Certo, per chi vuol perdere una giornata lì davanti, volendo, c’è pure l’immancabile QRcode che rimanda ad un documento di 114 pagine. Ma, ci chiediamo, chi lo ha pensato e realizzato, ha provato a leggerlo tutto insieme, non sul suo pc o su una prova di stampa, ma direttamente sul cartello di alluminio? Forse andava messo perché così nessuno, ove multato, potesse dire “io non lo sapevo”? Ci pare abbastanza improbabile: all’interno dei parchi nessuno controlla, nessuno eleva multe o ammende. Un po’ come nelle strade col limite a 30. Eppure, a meno di un metro dal suddetto cartello ce n’è un altro, lì da almeno dieci anni, che è chiarissimo.

C’è un bel labrador con una bottiglia di plastica in bocca ed una semplice scritta: “aiutaci a mantenere verde il verde”. Immediata, logica, efficace come comunicazione. Che poi in quel parco c’è sempre chi lascia liberi i cani di fare i loro bisogni ovunque, rientra nel concetto espresso poco sopra: educazione e vigilanza sono sempre assenti.

Infine, l’avviso scritto a mano, appeso sul vetro di uno sportello del Silvestrini da un addetto nato prima dell’invenzione dei computer, che evidentemente si è dovuto assentare ed ha lasciato un fantastico messaggio, tutto sghembo, con frecce su e giù, sottolineature, acronimi (def per defibrillatore, ma chi era lì sapeva interpretare) e la chiosa finale: “prendere il numerino simil Coop”. Tradotto: servitevi dell’eliminacode. Potenza dello slang, perché al di là della comunicazione pasticciata, tutti hanno capito, nessuno ha protestato. Dopo un’ora il cartello è sparito (è passata qualche caposala?), ma in sala d’aspetto chi lo aveva letto è stato in grado di fornire le indicazioni giuste a coloro che sono venuti dopo. Come al supermercato.
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