L'INTERVISTA
Serena Sebastiani
Serena Sebastiani, romana, ha lasciato la Capitale e da 13 anni anni si è trasferita a Montelovesco, nelle colline di Gubbio, dove con il marito Giuseppe Onorato, ha dato una svolta, forse inaspettata, alla propria vita, dedicandosi anima e corpo alla professione di chef.
- Come è arrivata a “Borgo Santa Cecilia” e perché ha scelto questo stile di vita così legato alla terra?
Ho lasciato Roma nel 2012 per seguire un sogno — insieme a mio marito Giuseppe abbiamo voluto costruire un progetto autentico, che mettesse al centro la natura, il bosco, gli animali e un rapporto diretto con il territorio. All’inizio non è stato facile: non avevo esperienza nel ramo dell’accoglienza, ma il desiderio di vivere in mezzo alla natura e ridare vita a un borgo abbandonato nel verde dell’Umbria mi ha dato la forza. Con il tempo, quel sogno ha preso forma: oggi questo borgo, questi boschi e questi animali sono la mia casa — e la mia cucina è un gesto quotidiano di rispetto per la terra. E’ stata una fuga dalla vita urbana, io mi ero appena laureata in Filosofia e Giuseppe lavorava nell’azienda di costruzioni della sua famiglia. Quando suo padre ha deciso di acquistare la tenuta per venire in vacanza e divertirsi con le battute di caccia, sua grande passione, siamo venuti qualche volta anche noi e ci siamo subito innamorati del posto. A quel punto abbiamo deciso di dare un senso a questo luogo, in 2-3 anni abbiamo ristrutturato l’abitazione principale e dopo una serie di corsi di cucina a Maddaloni e un’adeguata formazione abbiamo aperto il ristorante consapevoli delle enormi potenzialità del territorio.
-Cosa significa per lei essere “chef cacciatrice”?
Che la cucina non è solo preparazione: è conoscenza profonda del territorio, delle stagioni, degli equilibri naturali. Quello che arriva in tavola — la selvaggina, le erbe spontanee, i funghi, i tartufi — è raccolto o cacciato da me, in modo responsabile e rispettoso. Non è una cucina di comodità, ma di attesa e ascolto: si aspetta il momento giusto, la stagione giusta. Così ogni piatto racconta una storia del luogo, un pezzo del bosco, una vita che cresce insieme alla natura. È un impegno: non si tratta di “fare piatti buoni”, ma di portare in tavola un’idea — di sostenibilità, di ciclo completo, di coerenza.
- Com’è un giorno tipo per lei, tra caccia, raccolta, allevamento e cucina?
Un giorno può cominciare con una passeggiata nei boschi: cerco erbe spontanee, funghi, frutti (more, bacche, corbezzoli); qualche volta raccolgo tartufi insieme al lagotto Juno. Poi c’è l’allevamento: gli animali (pecore Suffolk di carne pregiata, maiali) vivono allo stato semibrado, a 700 metri di altitudine, all’interno dei 320 ettari della tenuta — questo vuol dire prendersi cura di loro, seguire i ritmi della natura. Infine, la cucina: tutto ciò che porto in tavola arriva da queste mani, da questo bosco, da questa terra. È un cerchio che si chiude: dalla natura al piatto, con rispetto e attenzione. Siamo particolarmente attenti ai salumi che custodiamo gelosamente nel nostro laboratorio con lunghe stagionature, anche di 4-5 anni.
- Qual è il valore più importante che vuole trasmettere con i suoi piatti?
Verità: ogni ingrediente deve parlare per sé, senza maschere. Voglio che chi assaggia capisca da dove viene, senta la terra, il bosco, la stagione. Coerenza: non uso ingredienti “di passaggio” solo perché sono “di moda”. Ogni cosa che cucino ha un legame diretto con la tenuta, con il tempo e con il rispetto dell’ecosistema. E umiltà: essere cuoco non è solo saper cucinare, ma saper ascoltare la natura, sapersi adattare, saper aspettare. Ogni piatto è un atto di amore verso il territorio (sorride, ndr).
- Guardiamo al futuro: quale sogno o progetto vorrebbe vedere realizzato per Borgo Santa Cecilia?
Vorrei continuare a far crescere questo modello di cucina circolare, sempre nel rispetto della natura, magari rendendolo sempre più accessibile a chi cerca un’esperienza autentica, diversa — non solo “ristorante”, ma un modo di vivere il cibo e il territorio. Mi piacerebbe che la nostra realtà diventasse un esempio — per altri giovani, per altre aziende — di come si possa vivere in armonia con la natura, senza compromessi e senza rinunciare al gusto. E chissà: magari creare nuove esperienze, stagionali, eventi in cui la caccia responsabile, la raccolta, l’allevamento e la cucina si mostrino in tutte le loro fasi, per far capire da dove nasce ogni sapore. Di certo mi piacerebbe diventare ambasciatrice del territorio, vorrei che si parlasse di Gubbio e di queste zone anche grazie al nostro racconto. Perché, non dimentichiamolo: la tradizione di Gubbio è legata fortemente anche alla caccia e le donne, soprattutto in passato, sono state protagoniste di una cucina fortemente legata alla selvaggina.
Intanto, proprio in questi giorni l’ultimo alloro: Tenuta Borgo Santa Cecilia ottiene un nuovo e prestigioso riconoscimento nazionale: il ristorante della Tenuta è stato infatti inserito al 9° posto nella 50 Top Italy 2026 – Migliori Ristoranti Sotto i 100 euro, la guida che valorizza le realtà capaci di offrire qualità gastronomica, ricerca e identità territoriale con un eccellente rapporto qualità-prezzo.
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy