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Santa Lucia tra sacro e profano: folla di fedeli e appassionati per le tradizionali cialde all’anice

14 Dicembre 2025, 10:17

Santa Lucia tra sacro e profano: folla di fedeli e appassionati per le tradizionali cialde all’anice

Sin dall’alba, un via vai silenzioso ma costante ha animato la chiesa del monastero di Santa Lucia. Fedeli di ogni età hanno varcato il portone per rendere omaggio alla santa protettrice degli occhi, una devozione antica che a Foligno continua a parlare al cuore della città. Alle 10.30 la celebrazione eucaristica solenne, presieduta da monsignor Cristiano Antonietti, vicario episcopale per la pastorale, insieme ai frati della Porziuncola di Assisi. Una liturgia partecipata, impreziosita dalla musica dal vivo – organo, tre chitarre e un tamburello – e soprattutto dalle voci del coro della parrocchia di Santa Maria Infraportas, diretto da Tiziana Rosati, volto noto al grande pubblico per la sua partecipazione a The Voice Senior.

Un intreccio di fede e bellezza che ha dato forza e calore al rito. In serata, alle 19, la chiusura dei riti sacri è stata affidata al vescovo della diocesi, Domenico Sorrentino.
Ma la festa di Santa Lucia, a Foligno, non è solo spiritualità. È anche memoria, profumi, gesti antichi. Fino a pochi anni fa, via Santa Lucia si trasformava in un piccolo teatro a cielo aperto: bancarelle artigianali, il profumo intenso dell’anice nell’aria e le cialde preparate al momento, schiacciando un semplice impasto di acqua e farina tra lunghe pinze di ferro, i cui piatti recavano incisioni religiose finemente lavorate.

Oggi quel colpo d’occhio non c’è più. Le famiglie Cirocchi e Betti sono state le ultime custodi di quella tradizione di strada. A raccoglierne l’eredità è rimasta l’artigiana Simona Orsolini, che da qualche tempo vende le cialde in un locale di via Gentile da Foligno. Anche ieri, davanti alla sua bottega, si sono formate lunghe file. Nei sacchetti, tredici cialde: come il giorno di Santa Lucia. Vaniglia, cacao, arancia, limone, accanto alle immancabili tradizionali all’anice. Sei euro il prezzo di un dolce che sa di storia. A pochi passi dal monastero, in via Mentana, incontriamo uno degli ultimi veri depositari di questo sapere: Mario Valentini, 84 anni, maestro incisore dei ferri da cialda e lui stesso cialdiere. Nel ristorante Le Mura custodisce due bacheche che sono piccoli scrigni di storia. Tra i ferri, uno risale addirittura al Quattrocento. “È opera di Francesco di Valeriano, detto il Roscetto – racconta Valentini – che era uno zecchiere. Per incidere i ferri da cialda usava le stesse tecniche e gli stessi strumenti con cui batteva moneta”.

Le cialde, spiega, non sono solo un dolce: “Vanno gustate con il vino da dessert, soprattutto con il vin santo. È la bevanda che meglio ne esalta il sapore”. Ma soprattutto sono simbolo. “Le cialde di Santa Lucia sono una tradizione antichissima. A Foligno le monache di clausura le preparavano nel giorno della santa usando gli stessi ferri delle ostie e le distribuivano come augurio, a suggellare il legame tra comunità religiosa e civile”. Valentini parla con orgoglio ma anche con un filo di amarezza: “Per noi le cialde rappresentano identità e buon auspicio. Questa tradizione vive ancora in Umbria, in Corsica, nella Bassa Toscana, in alcune città di mare. Noi le facciamo sempre assaggiare ai clienti del ristorante, ma senza passione rischia di restare solo un ricordo sterile”. Ricorda un episodio degli anni Novanta: “La professoressa Bartolini coinvolse i suoi alunni in via Santa Lucia. Prepararono l’impasto, usarono i ferri, improvvisandosi pasticceri. Fu un successo straordinario. Ma se non si coltiva l’amore per queste cose, la tradizione è destinata a morire”. Poi Mario non parla più. Si rimbocca le maniche, prende uno dei suoi ferri, lo scalda sul fuoco del camino. Quando il metallo è pronto, adagia l’impasto, chiude la pinza, la gira sul fuoco per pochi secondi. Il cialdone è pronto. Un gesto semplice, antico, che vale più di mille parole.

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