Il racconto
Quando la terra ha cominciato a ribellarsi, squarciando le prime luci del mattino e inghiottendo le certezze, a Norcia c’era qualcuno che correva nella direzione opposta alla paura. Erano loro, i vigili del fuoco: gli uomini e le donne che la gente del cratere ricorda con gratitudine quasi viscerale, come si ricordano i volti che ti prendono per mano quando il mondo crolla. Tempestivi, ostinati, gentili persino nelle ore più feroci. Coraggiosi e insieme delicati, come solo sa essere chi salva la vita degli altri. “Figure a metà tra Tarzan e i boy scout” mormora ancora oggi una signora anziana, una di quelle che loro tirarono fuori da una casa che ondeggiava come una barca in tempesta. Un’immagine che fa sorridere, ma che restituisce l’essenza di quei giorni: forza, agilità, disciplina, e quella calma misteriosa che rassicura anche quando tutto vacilla.

Dal 2021 Norcia può contare su un proprio distaccamento: 28 vigili permanenti organizzati in quattro turni da sette unità (a pieno organico dovrebbero essere otto). È il penultimo presidio del comando provinciale di Perugia - l’ultimo, istituito nel 2024, è quello di Città di Castello - e non è soltanto una caserma, ma una presenza percepita come parte viva dell’identità del territorio. Prima di loro, per sessant’anni, cavalcarono questa terra e gli restarono aggrappati addosso senza farsi disarcionare i pompieri volontari: uomini duri e fedeli, orgogliosi di appartenere al più antico presidio dell’Umbria. Oggi passato e presente non si sfiorano soltanto: si parlano, si riconoscono. “Sono due mondi con un solo cuore”, dice Francesco Rossi, nursino doc, capo del distaccamento col grado di Capo squadra esperto dal 2023, “ognuno con la sua identità, ma uniti dalla stessa, semplice, irriducibile solidarietà, perché i vigili del fuoco sono una grande famiglia”.
“C’era un tempo – ricorda l’ex coordinatore dei volontari, Oreste Verucci – in cui i pompieri non venivano avvisati da telefonate o sirene, ma dal rintocco possente di una campana appesa alla torre della caserma dei Carabinieri. Bastava quel suono, metallico e improvviso, perché fabbri, falegnami, muratori lasciassero gli attrezzi sul banco e si lanciassero di corsa verso la sede. Lì ricevevano le prime indicazioni e, senza perdere un minuto, saltavano sulla vecchia autobotte diretti verso l’emergenza. Poi le cose sono cambiate: dal comando di Perugia partiva la chiamata al responsabile, che subito attivava i reperibili. Nel giro di pochi minuti la squadra era formata e pronta a partire. E quando la situazione era critica, entravano subito in gioco i permanenti dei comandi più vicini, con mezzi e attrezzature specializzate”.
Francesco Rossi, barba bianca ben curata e occhi che cambiano tono quando parla del suo lavoro, è vigile del fuoco, ma anche attore. Un uomo abituato a stare sulla scena, che sia quella di un teatro o quella, ben più imprevedibile, delle emergenze. “Ho iniziato a recitare – racconta con un orgoglio che gli illumina lo sguardo – con il Teatro 13 di Norcia, sotto la guida appassionata di Cristina d’Abbraccio. Insieme abbiamo portato in scena Se devi dire una bugia dilla grossa, una commedia degli equivoci ambientata nel Palace Hotel, dove io interpretavo il direttore: un ruolo che mi calzava addosso come una seconda pelle. Nel post terremoto quello spettacolo è diventato quasi un rito collettivo. Lo abbiamo replicato sedici volte, una dopo l’altra, come se ogni risata restituisse un frammento di normalità alla nostra comunità ferita. Siamo arrivati persino a calcare il palco del Parioli di Roma, con un successo che ancora oggi mi emoziona. E quando il Teatro Civico di Norcia tornerà finalmente agibile, sogno di riportare in scena quella stessa commedia la sera della riapertura. Sarebbe il mio saluto al palcoscenico, il mio modo di congedarmi da artista dilettante non più giovane. Una sorta di… pensione, ma con il sipario che si chiude dolcemente, non di colpo”.

(Francesco Rossi)
Che cosa significa fare il vigile del fuoco in un territorio fragile come quello nursino?
"È vero: questo è un territorio fragile, e il terremoto di nove anni fa ci ha lasciati tutti con le ossa rotte, non solo fisicamente ma dentro, nell’anima. Fare il vigile del fuoco qui significa sentire ogni giorno il peso – e l’onore – di un incarico che non ammette distrazioni. È una responsabilità che ti sveglia la mattina e ti accompagna anche quando torni a casa. Ma è anche una grande soddisfazione, perché qui non siamo soltanto un distaccamento: siamo un presidio di prossimità, un riferimento per la gente di Norcia e per i comuni intorno. Facciamo turni da 24 ore, perché la nostra sede è considerata disagiata. E a molti di noi va bene così: c’è chi arriva da Perugia, chi da Terni, qualcuno persino dal Lazio. Ultimamente sono venuti anche colleghi dall’Abruzzo. Questo racconta già molto: chi viene qui, sceglie Norcia".
Com’è lavorare in un luogo dove passate 24 ore di turno?
"La nostra giornata inizia alle otto del mattino, con il capo turno che smonta dalla notte e ci aggiorna su emergenze e necessità. Poi via con i controlli ai mezzi, alle attrezzature, alla caserma. Abbiamo una mensa interna: cuciniamo da soli. A volte la pasta è appena calata nell’acqua quando scatta l’allarme. Spegni i fornelli e voli fuori: è una legge non scritta. Le attività di routine si sospendono solo la domenica. All’inizio, per chi arriva da fuori, può essere disorientante: questa terra va capita, come si capiscono i linguaggi antichi. Ma poi succede una cosa precisa: Norcia ti mette alla prova. E se resisti, ti adotta. E lì il distaccamento diventa una seconda casa: mangi insieme, vivi insieme, affronti le notti gelide e le chiamate in pieno buio. E Norcia smette di essere 'fuori mano': diventa un posto che ti entra dentro".
Cosa significa guidare una squadra?
"Significa muoversi dentro un equilibrio delicato: montagne, frazioni isolate, strade che l’inverno può cancellare con una nevicata. Ma significa anche sentire la fiducia della gente. A Norcia la comunità sa chi siamo e cosa facciamo. E questa riconoscenza, così spontanea e sincera, ti accompagna come un mantello mentre guidi i tuoi uomini".
Qual è il rapporto tra permanenti e volontari?
"Un rapporto vero. Solido. Da quando sono diventato responsabile del distaccamento, ho voluto mantenere un legame stretto con i volontari: hanno sorretto questo territorio per oltre sessant’anni, spesso in condizioni durissime. Noi non vogliamo cancellare quella storia: la integriamo. Lavoriamo fianco a fianco, condividiamo interventi, esperienza, conoscenza del territorio. La loro sede attuale è a Sellano, in attesa che venga realizzata la nuova sede del distaccamento di Norcia, che dovrebbe sorgere – speriamo presto – a Casale di Serravalle, lungo la Provinciale. Ma il patto resta: non scritto, ma fortissimo".
Lo spirito dei vecchi pompieri si ritrova nei vigili del fuoco di oggi?
"Sì. E sa perché? Perché quando scendi in un canalone per un recupero, quando arrivi in un casale che brucia, quando affronti una nevicata in una strada stretta, la divisa non fa differenza. Rimane la persona. Rimane l’istinto di esserci, resistere, proteggere. Quello spirito – dei permanenti di un tempo, dei volontari – noi lo sentiamo tutti i giorni, ogni volta che usciamo in intervento".
Quanti e quali interventi avete compiuto nell’anno che sta per concludersi?
"Siamo ad oltre 350 interventi. Dall’incidente stradale al soccorso in montagna. In estate molti affrontano i sentieri senza attrezzatura adeguata, e questo complica tutto. Collaboriamo spesso con il Soccorso Alpino del Cai: a volte arriviamo prima noi, perché da Norcia a Castelluccio ci mettiamo quaranta minuti".
C’è un episodio recente che racconta meglio di altri cosa significa essere vigili del fuoco a Norcia?
"Sì. Ed è un episodio semplice. Qualche mese fa siamo arrivati in una frazione isolata: una casa in fiamme, il proprietario fuori, infreddolito, con un secchio di plastica e una coperta. Aveva provato a spegnere da solo, sapendo che eravamo lontani. Quando ci ha visto, ha quasi pianto: “Pensavo che non sareste arrivati in tempo”. E invece eravamo lì. In quel momento ho capito una cosa che non dimenticherò: per chi vive qui, noi non siamo soltanto un servizio. Siamo una presenza emotiva. Una forma di sicurezza che va oltre l’operativo. Durante il post terremoto abbiamo visto la sofferenza vera. Nessuno resta indifferente: soprattutto quando a chiedere aiuto è un’anziana rimasta fuori dalla casetta (Sae). Per loro è un dramma enorme. E quando arriviamo e vediamo i loro occhi lucidi, a volte ci chiamano “angeli con l’elmetto”. Mentre uno apre la porta, gli altri riportano armonia. E il sorriso torna a vivere sul loro volto".
Avete fatto anche soccorsi ad animali?
"Molti. Di recente a Preci un gruppo di pecore era finito dentro un grande chiusino per la scolmatura delle acque. Non riuscivano più a tornare indietro. Il pastore era disperato. Un collega… estroso, diciamo così, è riuscito a guidarle fuori senza spaventarle. Si è calato nel chiavicotto e, avanzando piano, le ha convinte a raggiungere l’uscita. Una volta all’esterno si sono disperse, ma i cani maremmani le hanno ricompattate in pochi secondi. Abbiamo recuperato anche bovini dispersi nei boschi. Ma il problema più serio restano gli incendi boschivi: se riusciamo a circoscriverli subito, bene. Altrimenti il rischio per bosco e fauna è altissimo. Adesso aspettiamo un nuovo mezzo capace di raggiungere zone impervie. E a breve arriverà anche una nuova autobotte 4x4: un passo importante".
In un territorio ferito dai terremoti, che significato ha per lei la parola ricostruzione?
"La ricostruzione non riguarda solo muri e strade: riguarda la fiducia. Quando il sisma ti toglie tutto, anche la casa, ti senti sbandato. Lo so bene: anch’io sono stato sfrattato dal terremoto. Per una settimana non pensavo ad altro: come rimettere un tetto sulla testa della mia famiglia. Credo sia stato così per tutti. Quella paura, però, è diventata la spinta: ricominciare, rimettersi in piedi, tornare a vivere".
Durante i giorni del terremoto, qual è stato il suo ruolo nei vigili del fuoco?
"Grazie alla mia conoscenza informatica sono stato assegnato al carro comando. Gestivo i servizi amministrativi e il personale. All’epoca c’era un turnover impressionante: quasi 230 vigili operativi a settimana. Altri colleghi del posto – Stefano Rossi, David Bettaccio, Romolo Battilocchi, Bruno Onori e Marcello Scarongella – si occupavano delle attrezzature impiegate nella messa in sicurezza delle strutture pericolanti. È stato un lavoro duro, ma necessario".
Oggi, 4 dicembre, è Santa Barbara. Come festeggerete la vostra Patrona?
"In modo semplice, com’è nel nostro stile. La messa nella basilica di San Benedetto, celebrata dal parroco, poi un momento conviviale al distaccamento. Purtroppo sarà l’ultima volta che festeggeremo Santa Barbara il 4 dicembre: dal 2026 la ricorrenza slitterà al 27 febbraio. Un cambiamento deciso dai vertici del corpo che accettiamo, ma che un po’ ci stringe il cuore.
E mentre parla, Francesco Rossi accarezza con lo sguardo la sua città ferita e resiliente. Dietro ogni sua parola si sente il passo lento della montagna, il silenzio delle frazioni spopolate, il respiro profondo della Valnerina che non smette mai di rialzarsi.
I vigili del fuoco qui non sono solo una squadra: sono un ponte tra ciò che è crollato e ciò che tornerà a vivere, tra la paura che resta nelle ossa e il coraggio che, ostinato, ritorna. Sono la prova che, anche dove la terra trema, esiste sempre qualcuno che rimane in piedi per tutti".
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