STORIE D'UMBRIA
Una storia naturale della curiosità, bellissimo saggio di Alberto Manguel, scrittore e traduttore argentino naturalizzato canadese. L’autore, chiamando in aiuto alcuni dei più grandi pensatori, scrittori e artisti, indaga lo stimolo che ci porta alla conoscenza. Non a caso, una delle prime parole che impariamo da bambini è perché?. E una volta imparato a chiederlo non ci fermiamo, anche se presto scopriamo purtroppo che la curiosità raramente ci concede risposte definitive e che le domande rinviano inevitabilmente ad altre domande. Il simbolo della curiosità è il punto interrogativo e allora ecco che subito ci siamo chiesti quando è nato questo segno tipografico della punteggiatura.
I primi esempi conosciuti di punteggiatura, quelli che indicavano pause nel discorso, compaiono nella Stele di Mesha che riporta un'iscrizione effettuata nel IX secolo a.C. da re Mesha dei Moabiti, una popolazione semitica che viveva lungo le rive del Mar Morto. Altri esempi li troviamo anche negli antichi greci che usavano dei puntini, spesso uno sopra l’altro, per indicare delle pause nella scrittura, mentre i romani introdussero anche la virgola.
Ma andiamo con ordine. In greco antico non esisteva il segno di interrogazione, essendo sufficienti le forme specifiche che nelle frasi interrogative assumevano le congiunzioni, i pronomi e gli aggettivi e la funzione di contrassegnare una domanda, espressa oggi col punto interrogativo, era demandata a un punto e virgola. Il punto interrogativo vero e proprio nacque nel Medioevo, all'epoca dei monaci copisti, gli amanuensi: essi infatti, per indicare le domande, scrivevano alla fine delle frasi la sigla qo, che stava per quaestio, domanda in latino. Per evitare di confondere questa sigla con le altre, cominciarono così a scrivere le due lettere che la componevano, l'una sull'altra e a stilizzarle, sostituendo la q con un ricciolo e la o con un punto, dando vita al punto interrogativo nella forma grafica per noi abituale.
Alla metà dell’VIII secolo, la pratica di copiatura dei testi liturgici, nei quali la punteggiatura era importante anche per la corretta intonazione del canto, diede impulso a un nuovo sistema di simboli (o positurae), che tra le altre cose si arricchì del punctus interrogativus, il cui uso si diffuse nei secoli successivi anche nei testi non religiosi. Nel Cinquecento, Coluccio Salutati e poi il nostro Giacomo Vittori da Spello, con il suo Modo di puntare le scritture volgari et latine (Perugia, 1598), individuarono come peculiarità dell’interrogativo il dimandare con desiderio di risposta, cogliendo l’aspetto fondamentale del segno dell’interrogazione: il suo essere rivolto ad un interlocutore di cui la domanda non può fare a meno. Nel 1584 Lionardo Salviati riconobbe al punto interrogativo la funzione di segnalare una pausa che equivale a quella indicata dal punto fermo, ma che differisce per la modalità interrogativa anziché assertiva dell’enunciato. Il punto interrogativo si collega, dunque, alla curiosità, chiedere perché ci permette di avvicinarci all’essenza di ogni cosa cercando di fugare il dubbio che, secondo Borges, è uno dei nomi dell’intelligenza.
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