Attualità
Giovedì 20 novembre l’Umbria ha vissuto uno di quei momenti che apparentemente non fanno rumore, ma lasciano un’eco lunga. Papa Leone XIV è arrivato in elicottero, ma lo ha fatto come se volesse giungere in punta di piedi: ad Assisi, alla tomba di San Francesco in forma strettamente privata; a Santa Maria degli Angeli, con le porte chiuse, all’assemblea della CEI; poi a Montefalco, di nuovo lontano da tutti, per una messa e un pranzo solo con le suore agostiniane.
Niente folle oceaniche, se non qualche folto gruppo di curiosi, soprattutto a Montefalco. Niente clamore. Nessun incontro ufficiale con le istituzioni. E, almeno in pubblico, tanti sorrisi e tanto silenzio. Qualche battuta, alla fine, se l’è fatta sfuggire con i pochi giornalisti che erano rimasti ad assediarlo a Montefalco. Ma è stata una semplice cortesia.
Le parole “pesanti” Robert Francis Prevost le ha riservate ai vescovi, ai frati e ai tanti religiosi che ha, comunque, incontrato. Ai vescovi, in particolare, ha detto che “l’onnipotenza tecnologica comprime la libertà” e – in un’epoca in cui la maggior parte degli uomini di oggi vive col capo chino sui telefonini e l’intelligenza artificiale ha già avviato una rivoluzione globale – ha messo il dito nella ferita più moderna e meno confessata.
Non è la tecnica il problema, è l’illusione che tutto sia misurabile, controllabile, prevedibile. E invece la libertà arretra, ogni giorno, schiacciata non dai divieti, ma dalle comodità. Parole scontate? Forse. Necessarie? Sempre. Soprattutto qui in Umbria, dove Francesco parlava al mondo scegliendo la povertà come ricchezza e il silenzio come rivoluzione.
Importanti, fortissime, anche le affermazioni sulla necessità di pace. Scontate – anche in questo caso – per un Pontefice, osserverà qualcuno. Scontate come l’aria. E, infatti, quando manca, si muore. Ma Assisi e l’Umbria sono il luogo dove la parola pace non è uno slogan, ma un dovere quotidiano. Ripeterla ogni giorno non è retorica: è urgenza e necessità.
C’è stato, poi, l’incoraggiamento dato ai frati e ai vescovi. Non formale. Concreto. Una carezza e insieme una responsabilità: essere Chiesa che ascolta, che accoglie, che cura le ferite. Soprattutto quelle dei più piccoli, dei più fragili, delle vittime di abusi.
Qui il Papa non ha usato giri di parole: ha chiesto conversione comunitaria. Tradotto: cambiare davvero, non a parole. E, infine, il messaggio forse più scomodo: una Chiesa che deve rinnovarsi costantemente. Niente nostalgia, niente rifugi nel “si è sempre fatto così”. Anche qui, parole che pesano come pietre. Anzi, come macigni. Dirette a una Chiesa che se non è sotto l’esame diretto del Papa, viene comunque esortata da lui a interrogarsi. E a mutare.
La notizia più bella, però, è un’altra: Leone ha confermato che sarà di nuovo in Umbria nel 2026, ad Assisi, per l’ottavo centenario della morte di San Francesco. Non sarà una visita di calendario, ma un ritorno consapevole nel luogo dove molto, se non tutto, nasce. Perché Assisi non è solo una città: è una responsabilità. È un richiamo. È una scelta. E ieri, con il suo silenzio e con le sue parole, Papa Leone XIV ha ricordato al mondo tante cose, soprattutto che la pace non è un’utopia devota, ma un dovere concreto, quotidiano, non rinviabile.
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