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Perugia, era meglio la Città dell'Insalata?

Claudio Sampaolo

14 Novembre 2025, 14:32

Perugia, era meglio la Città dell'Insalata?

In questa benedetta città, di solito, le grandi novità sembrano cascarci addosso all’improvviso. Dal Minimetro al Metrobus nessuno ha capito esattamente di cosa si trattasse finché non è apparsa la cruda realtà. Diciamo, ad essere buoni, che le informazioni dal Palazzo sono spesso (volutamente) incomplete o fuorvianti e non sempre per colpa degli amministratori. Per usare una frase che va di moda, le opposizioni del tempo, i due Moloch della mobilità non li hanno proprio visti arrivare. Aggiungiamo l’atavica pigrizia dei perugini, che se ne fregano beatamente di capire (“faranno un po’ loro”), salvo poi cominciare a protestare quando è troppo tardi e il gioco è fatto.

Ora tocca alla Città del Cioccolato, aperta da una decina di giorni, ma già fonte (fuori tempo massimo) di ricordi, domande, rimpianti, anche idee. In testa a tutto la nostalgia dei mercati di un tempo e pure di quelli moderni che vanno di moda nelle grandi città, anche se la fine di Fico a Bologna dovrebbe aver chiarito qualche concetto in materia.

Sul Mercato Coperto, però, possiamo ben dire, che prima di arrivare all’ultimo exploit di Guarducci si sono esplorate quasi tutte le strade. Per decenni. Persino Oscar Farinetti (Eataly) nel 2014 disse a Wladimiro Boccali che avrebbe volentieri portato il suo marchio a Perugia, ma non se ne fece niente. Chiedeva, sostanzialmente, un impegno economico quasi tutto a carico del Comune. Nel 2015, invece, si cominciò a seguire una “traccia” precisa, disegnata dall’allora assessore Michele Fioroni che ipotizzò “una parte interna con ristorazione e commercio di qualità, uno spazio enogastronomico tipo Eataly, ma meno industrializzato, un polo di attrazione per chi frequenta il centro, aperto fino a tarda notte, dove mangiare, comperare, parlare, ascoltare anche musica. Sulla terrazza una vera piazza col mercato e anche lì un po’ di street food”.

E in capo a quattro anni l’assessore allo Sviluppo Economico della Giunta Romizi trovò anche il pool di gestori (Confcommercio, Coldiretti, Confcooperative e alcuni imprenditori dell’enogastronomia). Tutto fatto? No, perché alla fine i conti sulla carta non tornavamo e si è ripartiti da zero.

Perché queste retromarce? Oltre alle questioni puramente economiche legate ai costi di allestimento, gestione e affitto, bastò una piccola indagine di mercato per capire due cose:

- Mettere in piedi un classico mercato, ancorché addizionato di food & beverage avrebbe fatto una concorrenza spietata ai pochi negozi ed ai ristoratori che ancora lavorano nell’Acropoli, che infatti si misero di traverso.

- Anche volendo superare questo ostacolo, restava in piedi un altro dato concreto: per far quadrare il bilancio non bastavano certo i pochi residenti rimasti in centro, dediti ad abbuffarsi di pizze, kebab, torta al testo, porchetta e patate fritte, se non ad acquistare insalata, bistecche e orate fresche. E sapete perché? Perché da via Oberdan al Frontone passando per Sant’Ercolano e il Borgo Bello esiste già una specie di via del cibo, con almeno 50 attività enogastronomiche, per tutti i gusti e tutte le tasche. Senza elencare la trentina di mercati settimanali di prodotti alimentari, presenti capillarmente in tutto il Comune, dai quattro Ponti a San Sisto, San Marco, San Mariano... o quelli in espansione di Campagna Amica. Sentite tutte le campane, ora tocca a Guarducci suonare il batocchio. Nessuno può dire se la sua diventi la carta vincente, ma sicuramente non è caduta dal cielo all’improvviso ed era l’unica rimasta sul tavolo.

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