Giovedì 06 Novembre 2025

QUOTIDIANO DI INFORMAZIONE INDIPENDENTE

DIRETTORE
SERGIO CASAGRANDE

×
NEWSLETTER Iscriviti ora

LIVE

logo radio

L'intervista

Gubbio, Francesco Malingri: "La passione per la barca a vela impressa nel mio Dna"

Il discendente della famiglia di navigatori sogna di solcare l'Oceano sulle rotte del nonno Doi e del papà Aimaro

Anna Maria Minelli

06 Novembre 2025, 14:03

Francesco Malingri

Il mare, l’avventura e le sfide. Se dici barca a vela dici Malingri, una famiglia che ne ha fatto la storia. Velisti da tre generazioni conosciuti in tutto il mondo. Francesco Malingri ha provato a seguire un altro percorso di vita ma il richiamo del vento lo ha riportato a ciò che è impresso nel suo Dna: solcare l’Oceano sulle rotte del nonno Doi e del padre Aimaro.

- Hai un cognome che tutti leghiamo alla vela. Per te com’è nata questa passione?                                               
Doi Malingri, papà di mio padre Aimaro, negli anni ’70 è stato uno dei primi italiani a fare il giro del mondo in regata su barca a vela. Una grande passione portata poi avanti con il fratello. Il mio papà, che purtroppo è mancato poco più di due anni fa, è cresciuto sulle barche a vela e a 9 anni aveva già fatto il giro del mondo due volte. In pratica viveva sulla barca a vela e ad un certo punto avevano realizzato anche un programma sulla Rai che si chiamava “Aimaro e il mare” raccontando di questo bambino, di questa vita stravagante. La passione per il mare mi è stata trasmessa nel sangue. Ho imparato ad andare in barca con mio papà sin da piccolo, passandoci ogni estate. Dai 16 anni ho cominciato a lavorare come marinaio, a fare le stagioni. Ho imparato a camminare in barca a 2 anni, i miei primi passi da bambino.

Il nonno paterno Doi Malingri della storica famiglia di velisti, uno dei primi italiani a fare il giro del mondo in barca a vela 

- In equilibrio...
E sì. Però io ho fatto una vita molto diversa da mio nonno, da mio padre, perché sono nato e cresciuto a Gubbio, in centro, ceraiolo sfegatato di Sant’Antonio e ho frequentato il liceo scientifico Casimiri a Gualdo Tadino. I Malingri avevano delle terre a Val di Chiascio e negli anni piano piano si sono trasferiti tutti lì dal nord Italia. Gubbio era come un porto sicuro, continuavano le loro imprese ma poi ci tornavano sempre. Mio padre ci ha passato l’adolescenza e poi ha incontrato mia madre Elisabetta, eugubina, nipote di Luigi Fagioli al quale è intitolato il trofeo automobilistico di Gubbio. Il mio bisnonno insomma.

- Una discendenza sempre legata alla temerarietà, alla velocità, alla competizione.
Sì, possiamo proprio dirlo.

- Dopo il liceo cosa hai fatto?
Sono andato a Milano. Ho studiato all’Università Bocconi, ho intrapreso una carriera in economia. Ho passato un anno all’estero, poi sono tornato a Milano dove ho lavorato come broker nel mondo della finanza del cambio valuta. Dopo la morte di mio padre ho cominciato a farmi domande sul senso della vita, su cosa volessi davvero fare e ho capito che stavo totalmente sprecando il mio tempo. Io a scuola me la sono sempre cavata, quindi ho avuto l’opportunità di andare all’Università con una borsa di studio. Mi sembrava che fosse il percorso giusto. E invece mi sono reso conto che non mi rendeva felice. Mio papà era molto amico di Giovanni Soldini, grande navigatore italiano. Giovanni ha imparato ad andare in barca con mio padre e mio nonno. Erano un gruppetto di ragazzi di Milano, mio nonno aveva già fatto il giro del mondo. Mio papà con Soldini e gli altri amici, hanno iniziato così... Io come ti dicevo riflettevo su cosa volessi fare davvero. In quel periodo Giovanni mi ha invitato in vacanza in barca e ho colto l’occasione per chiedergli se poteva trovarmi un lavoro: “Qualsiasi cosa”. Volevo anche avvicinarmi al mondo di mio papà, che mi ricordava lui e Giovanni mi ha detto di presentarmi in cantiere. Ora sono quasi 2 anni e mezzo che ci lavoro.

- Il progetto per la nuova barca?
Si con Ferrari. Lavoro come builder, stiamo letteralmente costruendo la barca in carbonio, un lavoro di precisione, di artigianato molto elevato. Il boat building mi appassiona molto.

- Soldini ha iniziato con tuo nonno e tu adesso lavori per lui per questa sua nuova avventura. Tutto torna come il mare.
È così e poi lavoro al mio sogno. Sto ristrutturando una barca a vela, Mini Transat 6.50. Conoscevo il proprietario perché avevo lavorato come marinaio per un suo amico diversi anni fa, mi sono messo in contatto con lui e me l’ha lasciata in gestione d’uso. Sono barche che nascono in sostanza per le traversate oceaniche, la dimensione ridotta ha reso accessibile le competizioni a molti più sportivi, negli anni si sono evolute e oggi la Mini Transat è una delle competizioni più difficili che ci sono. Per farti capire è quasi l’equivalente di scalare l’Everest: sono 4.500 miglia, con queste barche che sono lunghe solo 6 metri e 50, in solitario, senza comunicazione con la terraferma, senza assistenza, dalla Francia fino ai Caraibi, una sfida dura, sia fisica che psicologica. Sono mezzi molto tecnici e veloci.

- Tu vuoi partecipare?
Sì. Ogni 2 anni 85 barche tagliano la linea di partenza in Francia, dove folle di fan e appassionati si riuniscono per salutare i navigatori in questo salto nel vuoto. Prima tappa sono le Canarie e poi i Caraibi. La prossima data è nel 2027. Per partecipare c’è un percorso da fare, regate nel circuito Mediterraneo e Atlantico in Francia per accumulare punti e accedere alla Mini Transat. La barca che sto sistemando è un prototipo tutta in carbonio, costruita nel 2007 e che ha uno storico importante, con podi e vittorie. Un mezzo un po’ datato ma che ha ancora tantissimo da dare e non vedo l’ora di metterla alla prova e di mettermi alla prova.

- C’è un particolare tipo di preparazione?
Per la barca una volta messa in acqua va fatto il tuning, i vari assetti per capire in che modo può andare al massimo e in condizioni diverse. Poi certo c’è l’allenamento fisico, sei in solitario e puoi contare solo sulle tue forze. Allo stesso modo preparazione tecnica, conoscenza di meteorologia, mari, correnti, venti, cartografia. L’unico device a disposizione è il VHF e che funziona solo a 20 miglia di distanza. Quindi puoi parlare con le barche che sono in gara e una volta sei in mezzo all’Atlantico sei lasciato a te stesso. Ci vuole una preparazione psicologica. Bisogna sapersi gestire, conoscere i propri limiti, dare il massimo senza scaricare le batterie. Anche la gestione del sonno è una componente molto delicata, la barca molto spesso ha bisogno di te. Si attua il regime di sonno polifasico, per esempio: stai sveglio 2 ore e dormi 20 minuti.

- Perché vuoi affrontare questa gara?
È un mio grande sogno. La Mini Transat è la scuola elementare per diventare navigatore oceanico. È il primo step per avere successo nel mondo della vela come navigatore, come skipper. Una volta che hai provato te stesso su quel circuito si aprono nuove possibilità. Come è stato, per esempio, per Ambrogio Beccaria, un italiano che sta andando molto bene e che ha vinto la Mini Transat nel 2019. Si ha l’opportunità di passare a barche sempre più grandi, a regate più nobili e importanti fino alla classe massima che oggi sono gli Imoca sino ad arrivare al giro del mondo in solitario.

- Immagino che ci voglia anche un sostegno economico importante. Vorresti diventasse il tuo lavoro?
Sì, assolutamente. Più cresci di livello più aumentano i costi ma anche gli sponsor si interessano alla tua attività. Sarebbe molto bello condurre mezzi di alto livello. Mi piacerebbe essere sostenuto proprio dalla mia terra, dall’Umbria, da Gubbio. Stanno già credendo in me il gruppo Financo, il Park Hotel Ai Cappuccini che hanno deciso di supportarmi. Sarebbe davvero importante avere ulteriori sostegni.

- Cosa provi quando sei sulla barca?
Un senso di infinita libertà, di totale libero arbitrio, ma anche di piccolezza, di essere infinitesimali rispetto alla grandezza della natura, del mondo che ci circonda. È anche un viaggio introspettivo.


Il bisnonno materno Lugi Fagioli, celebre pilota di auto da corsa al quale
è intitolato il trofeo sulla Madonna della Cima a Gubbio

- Che imprinting ti ha dato Gubbio? Una città in una regione che non è bagnata dal mare...
Essere nato a Gubbio è stata la più grande fortuna della mia vita, perché mi ha dato un nido, la famiglia, gli amici, gente che conosco in un contesto propositivo che considererò sempre casa. Ogni volta che torno è sempre il mio posto. Questa cosa mi dà tanta energia, tanta voglia di fare. Io ci proverò con tutto me stesso, ci proverò sempre, ma in ogni caso, male che andrà, potrò tornare a casa mia. Potrò sempre tornare a Gubbio.

Newsletter Iscriviti ora
Riceverai gratuitamente via email le nostre ultime notizie per rimanere sempre aggiornato

*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy

Aggiorna le preferenze sui cookie