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Sono tempi duri per la manifattura italiana e umbra. L’entrata in vigore dei pesanti dazi statunitensi che nei primi due mesi hanno già assestato un colpo fortissimo alle esportazioni, l’aumento dei costi energetici e della tassazione nazionale e locale, il blocco degli investimenti seguito all’espansione registrata nel post Covid, la carenza di manodopera e i nuovi vincoli legati alle politiche di sostenibilità, rischiano di mettere una pietra tombale su un settore che ha sempre rappresentato al meglio l’anima e le capacità dell’Italia. In Umbria i settori manifatturieri più in difficoltà sono quelli della moda, della meccanica e dell’agroalimentare.
“Nella moda la situazione è a macchia di leopardo: le piccole imprese che lavorano in subfornitura per i grandi marchi umbri che hanno fatto la scelta strategica di mantenere le produzioni nel territorio, al momento non incontrano grossi problemi. Ma quelle che lavorano per brand globali con sedi fuori dall’Italia o dalla nostra regione sono in grande difficoltà, alle prese ormai da tempo con una sensibile riduzione degli ordinativi” afferma Giampaolo Cicioni, presidente regionale di CNA Produzione. “Nella meccanica è l’automotive a risentire dei problemi maggiori, soprattutto per le assurde politiche ambientali dell’Unione europea. Sull’agroalimentare, invece, su cui già pesa il dazio del 15% deciso da Trump, dall’1 gennaio prossimo potrebbe aggiungersi un super dazio al 97% sulla pasta da parte del dipartimento del Commercio Usa. Proprio in vista dell’entrata in vigore dei dazi americani avevamo chiesto un intervento urgente della Regione affinché approvasse misure di sostegno all’internazionalizzazione che aiutassero le imprese umbre a diversificare i mercati di sbocco delle produzioni locali, ma finora i nostri appelli sono rimasti inascoltati.
Avevamo anche sperato in una boccata di ossigeno dagli ultimi bandi a sostegno degli investimenti calibrati sulle diverse dimensioni d’impresa che si sono chiusi nel marzo scorso, ma le graduatorie sono ancora provvisorie e le erogazioni dei contributi sono ferme. Per non parlare del bando Solar Attack del 2022, una misura a sostegno dell’autoproduzione di energia che avrebbe dovuto aiutare le imprese umbre a ridurre i costi energetici, già in partenza molto più alti di quelli sostenuti dai loro competitor europei, ma che a distanza di tre anni non ha ancora erogato un solo euro. Un tipico esempio di come la burocrazia possa soffocare lo sviluppo. Di fronte alle avvisaglie di una crisi che potrebbe assestare un colpo durissimo al nostro sistema produttivo questi ritardi nei bandi non sono più accettabili.
E dire che in Umbria, oltre agli uffici regionali, sono ben due le società pubbliche chiamate a gestire gli avvisi: Sviluppumbria e Gepafin. Com’è possibile – incalza Cicioni - che strutture dotate di un consistente numero di dipendenti non riescano a gestire in modo fluido i bandi emanati dalla Regione?”. E poi c’è il problema della carenza di manodopera “che nei periodi migliori impedisce la crescita e in quelli critici rende più difficile affrontare la crisi. Però sembra che i problemi delle imprese non interessino a nessuno, anche se una crisi aziendale può tradursi in un’attivazione della cassa integrazione o in una riduzione sistematica del personale e, quindi, sfociare in una crisi sociale. Eppure le piccole imprese rappresentano il 99% del tessuto imprenditoriale umbro e il 70% dell’occupazione nel settore privato, al punto che possiamo ben dire che garantiscono la tenuta delle comunità e del lavoro nel territorio regionale”.
Ma i motivi di insoddisfazione del presidente regionale di CNA Produzione non finiscono qui. “In momenti di difficoltà come questo siamo costretti a tornare a ragionare sui fondamentali, a cominciare dalle tasse: come possiamo fare, noi piccole imprese umbre, a crescere facendo investimenti e diversificando i mercati velocemente aumentando contemporaneamente i salari dei dipendenti, se la tassazione complessiva sul reddito d’impresa supera il 60%, sommando tasse nazionali e locali, e il costo del lavoro è pari al 120% del salario netto percepito da un lavoratore dipendente? Soprattutto se a questi livelli di tassazione non corrispondono livelli adeguati di servizi pubblici essenziali, mentre le risorse vengono utilizzate per il mantenimento di una struttura pubblica elefantiaca generatrice di burocrazia spesso inutile. Noi crediamo che, di fronte all’urgenza della situazione, sia necessaria una presa di coscienza delle difficoltà che le imprese, a partire da quelle più piccole, affrontano quotidianamente. Alle imprese non servono bonus o una tantum per sopravvivere, hanno bisogno di uno Stato e, soprattutto, di una Regione efficienti e in grado di individuare politiche di sostegno alla crescita di tutte i tipi di impresa e - conclude Cicioni - di fare le riforme necessarie a risparmiare risorse da poter dedicare allo sviluppo e alla semplificazione delle procedure”.
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