GRAFFITI
Mimmo Pucciarini
Domani Mimmo Pucciarini, il capo della Nord, la personificazione dell’ultras degli anni ’70, con molto cuore (“non ho preso moglie, ma ho sposato il Grifo”) e un senso innato per motivazioni contrastanti, una specie di istintivo razionale, avrebbe compiuto 71 anni. Se n’è andato il 1 gennaio 2024 dopo aver affrontato a petto in fuori un ictus che l’ha man mano logorato, lui, l’uomo in piedi sulla balaustra, costretto a sedere su una maledetta carrozzella. Ma di Mimmo nessuno si è dimenticato, né i compagni/amici/allievi della Nord, intitolata a suo nome nonostante si chiamasse già curva Spartaco Ghini (non gli sarebbe dispiaciuto, ha sempre legato coi presidenti, con tutti), né gli altri che l’hanno conosciuto nei tanti lavori umili svolti con dedizione, nelle sedi politiche rigidamente della sinistra-sinistra o come calciatore dilettante con l’Olimpia Filosofi. Per questo oggi si troveranno in tanti in un locale del centro per brindare al suo compleanno e festeggiarlo a modo loro. E saranno una gran parte di coloro che hanno consentito a Pier Luigi Brunori di scrivere un libro, Maracanà Mimmo, che è molto più di una biografia.
È un racconto dettato da 43 persone diverse, dettagliato, curioso, anche intrusivo, ma rigorosamente anonimo. Forse solo l’autore sa chi ha scritto cosa, ma i nomi del “collettivo” sono tutti elencati in fondo al libro, e quel che conta davvero è che ogni spaccato di vita del Capo sia una testimonianza, sicuramente interessante, quasi sempre sorprendente. Per dirla tutta uno solo degli autori è facilmente riconoscibile, perché dopo una vita in Curva Nord ha allenato il Perugia dal 2000 al 2004 e l’episodio che ricorda lascerà un po’ sorpresi tutti coloro che hanno un malinteso senso dello stereotipo ultrà. “Mimmo – ha dettato Serse – voleva che non si lanciassero cori contro nessuno, con gli anni è diventato gandhiano”. Circostanza confermata in più parti del volume. Per esempio: “lui i cori contro la Polizia non li vuole. E quelli contro le altre tifoserie neppure”. Si arrese, alla fine (lo scrive, nell’introduzione, il suo amico Roberto Volpi, con lui già nei cosiddetti Gruppi Comunisti Rivoluzionari) a “chi non salta porta la Ternana”, che non è un insulto, ma, al massimo un segno distintivo o un invito a fare attività fisica sul posto.
Maracanà Mimmo, invece, è un titolo che va spiegato perché era noto il tifo del Capo per i colori del Brasile (oltre che, misteriosamente, per l’Osasuna Pamplona, e per l’Atletico Bilbao, squadra composta da soli giocatori baschi. Un sogno), ma non si sapeva che tutto derivò da una passione profonda per una ragazza brasiliana, che un giorno se ne tornò al suo paese lasciando (forse) una maglietta verdeoro che Mimmo indossava sotto quella del Perugia.
Di lui si racconta che quando i ragazzi dell’Armata Rossa si distraevano, era capace di tirare il suo mitico e pesante mazzo di chiavi, il cellulare, oppure anche un mocassino, tutte cose che il destinatario del cazziatone prendeva (non metaforicamente) e riportava ossequiosamente al Capo. Oppure che dimostrava la propria leadership facendo la verticale lungo il corridoio del pullman, in movimento, al ritorno da trasferte vittoriose. Di sicuro, qui le testimonianze sono univoche: “è stato l’unico capo ultras d’Italia che non si è arricchito col calcio”.
Per la Nord era un mito e c’è stato anche chi si è tatuato il suo volto sulla gamba sinistra e chi rammenta, romanticamente, di averlo visto spogliarsi nudo sulla balaustra, con dieci gradi sottozero, solo per scuotere una curva “che tifava poco”.
Già, la balaustra. La cosa migliore arriva quasi in fondo al libro e fa davvero ridere perché ricorda l’unica volta che Mimmo volò di sotto e “fece prima a arsalì che a cadè”.
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