IL FATTO DEL GIORNO
I simboli della pace universale partono, come nel gioco dell'oca, dal cratere di Hiroshima e arrivano all'orto botanico di Perugia, muovendosi idealmente tra le caselle di Aldo Capitini, della Marcia della Pace e della bandiera arcobaleno - quella coi sette colori stesa a Palazzo dei Priori - per poi invadere il resto d'Italia e l'Europa, viaggiando sui semi delle piante che l'atomica doveva distruggere 80 anni fa precisi e che invece si sono salvati nonostante i 30 mila gradi di calore che hanno sciolto tutto. Anche le persone. Le piante no: le radici sono sopravvissute in profondità. Rinate.
E i loro semi dal 2020 sono stati trapiantati nel terreno a valle di San Costanzo, dove germogliano, crescono e poi partono. Dalle 51 piantine, coltivate e diventate già alberi della pace, da nord a sud della Penisola, ai semi diretti verso il Continente non appena arrivano dal Giappone - ultima spedizione in Irlanda.
Si chiamano Hibakujumoku, parola composta che sta per albero esposto a radiazione nucleare, e sono considerati simbolo di speranza e resilienza, cresciuti sul terreno nel raggio di 2 km dall'epicentro dell'esplosione nucleare, dove non sarebbe dovuto spuntare più nulla per decenni. Invece non solo hanno avuto una nuova vita, ma ora, grazie a Perugia, stanno conquistando l'Europa con un messaggio molto forte, perché ogni albero ha una storia, uno scopo, un futuro.
Roberto Rettori, professore ordinario di Paleontologia presso il Dipartimento di Fisica e Geologia e direttore del CAMS (Centro di Ateneo per i Musei Scientifici), è il responsabile del progetto e non ha difficoltà a legare questo filo rosso agli eventi attuali: "Diciamo che l'invasione di questi semi e delle piante costituisce un messaggio importante, molto significativo ed un segno di speranza. Non sarebbe male se la Marcia del prossimo ottobre, che parte dal Frontone, poche centinaia di metri sopra a noi, passasse da qui, con una delegazione, davanti a questo Muku di cinque anni".
"Il Muku o Aphananthe aspera è una delle piante sulle quali lavoriamo maggiormente assieme a Ginkgo biloba, eucalipto e bagolaro - spiega Marco Maovaz, direttore dell'orto botanico - ma contiamo di avere sempre più semi di specie diverse. Ormai sappiamo quali si riproducono e quali hanno difficoltà, come il platano e la camelia. Nell'ampio spazio accanto al Muku pensiamo di realizzare un giardino per la cerimonia del tè, che fa parte della tradizione giapponese, un luogo di riflessione, molto zen, ma che ci riguarda molto da vicino, perché Perugia è stato uno dei primi luoghi in Europa nel quale arrivò questa misteriosa bevanda. Merito di quattro giovani ambasciatori giapponesi, che nel 1585 passarono in città dopo un largo giro tra Spagna e Portogallo, e stupirono i benedettini di San Pietro perché 'bevevano acqua calda invece del caffè'. E non era solo acqua...".
Se l'orto botanico funge da officina e deposito di questa preziosa iniziativa, il motore di tutto ha un nome e un cognome: Antonio Brunori, agronomo forestale, perugino acquisito (il papà Bruno è stato uno dei giornalisti più noti della città), ma sostanzialmente uomo di mondo, grazie al suo incarico di segretario generale di PEFC Italia, l'associazione internazionale che promuove la gestione sostenibile delle foreste.
"In effetti resto qui al massimo due giorni a settimana. A maggio sono stato proprio in Giappone per uno studio sulle coperture in legno dei padiglioni dell'Expo di Osaka e ne ho approfittato per andare a Hiroshima e, naturalmente, riportare un po' di semi per il nostro orto botanico. Com'è cominciata questa avventura? Leggendo un libro di Stefano Mancuso, nel quale si citavano, appunto, queste piante reduci dalla bomba atomica che stavano rifiorendo. Mi sono incuriosito, ho approfittato della rete dei miei contatti - noi siamo considerati l'Onu del mondo forestale e io mi occupo delle relazioni internazionali di PEFC - e tramite Tiziana Volta, che a Brescia ha fondato l'associazione 'Mondo senza guerra e senza violenza - Biodiversità Nonviolenta' siamo partiti. Il primo passo è stato creare un legame stretto con Green Legacy Hiroshima, l'associazione che si occupa di organizzare accordi e spedizioni. La cosa emozionante, se vogliamo, è che di questa associazione fa parte la bambina che per prima ha visto un filo verde spuntare in mezzo al nero cupo del cratere. Era il segno della rinascita del salice piangente che viveva a 370 metri dall'epicentro ed ora è di nuovo bello e rigoglioso."
"Poi c'è stata la convenzione con l'Università di Perugia e il 20 giugno 2020 abbiamo piantato a San Matteo degli Armeni una piccola Ginkgo biloba, cioè l'organo vivente considerato più antico al mondo, coi suoi 360 milioni di anni. Ed è stata una scelta doppiamente simbolica: quella piantina deriva da un seme di un'altra pianta miracolata, situata a 1.100 metri dall'esplosione, ed è stata messa a dimora accanto alla biblioteca che ricorda Capitini e che è portabandiera di temi come nonviolenza, educazione alla pace, diritti umani, dialogo interculturale e interreligioso".
Che cosa c'è nel futuro di questa iniziativa? "Anzitutto continuare ad incrementare le specie da coltivare e le spedizioni, che, peraltro, non sono fatte casualmente, ma necessitano di controlli rigorosi sul posto dove saranno messe a dimora. Da poco è partita una pianta per Leopoli, in Ucraina, mentre stiamo inviandone un'altra in Vaticano, dietro loro espressa richiesta. Le piante, queste in particolare, sono icone, hanno bisogno di rispetto per il valore etico e morale che portano con sé. Perché vincono sempre, anche contro la bomba atomica. Perché il mondo vegetale ha 15 sensi e copre l'82% del Pianeta, mentre quello animale, per dire, ha solo due sensi e arriva allo 0,4%. L'uomo? 0,01. Teniamolo sempre presente".
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