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A Gubbio con Pirandello, viaggio nell'identità con Primo Reggiani, Jane Alexander e Francesca Valtorta. Le interviste

Maschere sociali e ricerca di autenticità, tre degli attori di "Uno, Nessuno, Centomila" si raccontano prima dello spettacolo al Teatro Romano di Gubbio

Claudia Boccucci

07 Agosto 2025, 21:00

A Gubbio con Pirandello, viaggio nell'identità con Primo Reggiani, Jane Alexander e Francesca Valtorta. Le interviste

Nella serata di venerdì 8 agosto, il Teatro Romano di Gubbio si prepara a ospitare lo spettacolo Uno, Nessuno, Centomila, l'adattamento dell'ultimo romanzo di Luigi Pirandello, diretto da Nicasio Anzelmo. Sul palco, un cast d'eccezione con Primo Reggiani, Jane Alexander, Francesca Valtorta, Fabrizio Bordignon ed Enrico Ottaviano pronti a dare vita a un'opera che esplora l'identità, le maschere sociali e la ricerca di autenticità. Tra riflessioni personali e aneddoti Primo, Jane e Francesca si raccontano per scoprire cosa rende questo spettacolo così attuale e cosa li lega ai loro personaggi.

 

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Intervista a Primo Reggiani (Vitangelo Moscarda)

Com'è stato calarsi nei panni di un uomo che scopre di essere "centomila" versioni di sé?

"È stata un'esperienza meravigliosa, contorta e affasciante che mi ha portato a riflettere. È un viaggio che ti permette di pensare rispetto ai nostri tempi: in un'epoca di social e apparenze, le tematiche affrontate da Pirandello sono attualissime."

C'è un'esperienza personale che l'ha aiutata a connettersi con il personaggio? 

"Mi sento fuori dal mio tempo, proprio come Vitangelo. Oggi siamo ossessionati da come ci percepiscono gli altri, e rischiamo di non conoscerci più. Ognuno ha 'centomila' versioni di sé all'esterno, me compreso. Studiando questo ruolo, ho trovato un modo per non cadere in questa trappola e sentirmi più libero."

Essendo figlio d'arte, il sogno di fare l'attore c'è sempre stato?

"No, è arrivato dopo. Sono cresciuto in questo mondo e per me è un mestiere come gli altri. Non ho mai percepito fare l’attore come un lavoro speciale. Accompagnavo i miei genitori nelle tournée o agli spettacoli, lo facevo come passatempo e gioco. Poi, dopo i vent'anni, è diventato una scelta consapevole.”

Lei è nato nella capitale, ma cosa consiglia a un aspirante attore che viene da contesti più piccoli?

"È difficile per me, che ho avuto la fortuna di nascere a Roma, immaginarmi in una realtà più provinciale. Ma se un sogno o una passione la insegui con tutte le forze, riuscirai a realizzarla. Non credo che sia un lavoro che si debba fare per forza a Hollywood: basta un piccolo palco rialzato per fare questo mestiere, ovunque esso sia. Insisti e resisti perché è un lavoro spesso precario che richiede forza psichica."

Intervista a Jane Alexander (Anna Rosa)

 

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La sua carriera spazia da fiction a reality. Come ha influenzato questa varietà il suo approccio alla recitazione?

"Ho fatto fiction, cinema, reality, conduzione e ho scritto un libro, Jane. Ogni esperienza è diversa, ma il teatro mi ha dato una nuova consapevolezza delle mie capacità. Mi sento più sicura, e questo mi ha aiutato a dare profondità al mio ruolo."

Nata nel Regno Unito e trasferita a Roma, com'è arrivata alla recitazione?

"Sono arrivata a Roma a 10 giorni dalla mia nascita perché mio padre dirigeva doppiaggi. Ho iniziato con lui poi ho continuato doppiando cartoni animati, anche mentre allattavo mio figlio, bei ricordi! La recitazione è arrivata per caso, frequentavo un liceo americano e facevamo molti spettacoli, ma sognavo di scrivere come Stephen King o insegnare latino. Poi, con Le donne non vogliono più di Pino Quartullo e il film con Tornatore, sono passata davanti alla cinepresa."

Nella sua vita si è mai sentita "centomila" versioni di sè stessa, come Vitangelo?

", praticamente ogni giorno! Ognuno si vede come vuole, e ogni persona che incontriamo ha una sua versione di noi, volenti o nolenti. Questo rende lo spettacolo di Pirandello molto contemporaneo."

Anna Rosa è il suo personaggio. Ci sono aspetti di lei che sente affini?

"Anna Rosa è pazza, divertente da interpretare! Arriva col botto e poi si perde nello spettacolo. Mi piace tantissimo, ma non mi ci rivedo del tutto. Un po’ di follia ce l'ho, ma non così tanta! È stato un vero piacere far parte di questo gruppo e portare in scena questa storia."

Intervista a Francesca Valtorta (Dida)

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Da Squadra antimafia a Pirandello, come ha vissuto il passaggio da Rachele Ragno a Dida?

"Volevo fare teatro da sempre, ma non mi sentivo pronta: è impegnativo e richiede preparazione. Ho iniziato con un ruolo piccolo in Il mercante di Venezia, poi con Caravaggio, e ora Dida. È una gioia immensa, condivisa con un cast straordinario. Pirandello, decenni fa, aveva capito che l'apparenza e l'identità sono temi eterni della storia umana, oggi ancor di più amplificati dai social."

Cosa ama di più di Dida e qual è stata la sfida più grande nel portarla sul palco?

"Portare in scena Dida, parte della storia letteraria italiana, è una grande responsabilità. Come moglie di Vitangelo, ha un ruolo chiave perché con il suo atteggiamento irriverente innesca i suoi dubbi esistenziali. È stato sfidante incarnare una 'maschera' così essenziale per il protagonista."

Ha mai vissuto un momento in cui si è sentita vista diversamente da come è, come accade a Vitangelo?

"Sì, continuamente. Ho un'immagine di me molto critica, ma il mondo mi restituisce una visione più positiva. Questo scollamento mi spinge a lavorare su me stessa per essere più clemente con chi sono davvero."

Come si concilia la vita sotto i riflettori con la ricerca di un'autenticità personale?

"Sono mondi diversi. Questo lavoro arricchisce umanamente se lo vivi con profondità. Lo scintillio dei riflettori è solo un contorno, un accessorio che non c'entra con il vero valore di ciò che facciamo."

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