L'INTERVISTA DEL DIRETTORE
Monsignor Boccardo durante l'intervista con il direttore del Corriere dell'Umbria e del Gruppo Corriere, Sergio Casagrande (Foto Giancarlo Belfiore)
All’apertura del nuovo anno e dell’Anno Giubilare, incontriamo a Spoleto monsignor Renato Boccardo, presidente della Ceu, la Conferenza episcopale umbra, e arcivescovo di Spoleto e Norcia, per parlare delle aspettative e delle grandi celebrazioni religiose appena iniziate e di quelle in arrivo che coinvolgeranno direttamente anche l’Umbria.
Qualche domanda anche sul nuovo corso politico della Regione, sulla situazione delle carceri, sulla ricostruzione post sisma del 2016 e su un personaggio delle fiction, don Matteo, molto popolare e legato alla città di Spoleto.
- Monsignor Boccardo, cosa si aspetta dal 2025?
La risposta è immediata: la pace, perché vediamo la guerra alle porte di casa e in tante altre regioni del mondo. E vediamo anche che queste situazioni non si riferiscono unicamente alle popolazioni direttamente interessate, ma hanno conseguenze sul mondo intero.
Dunque un auspicio di pace che non è soltanto una speranza di stop a tutte le guerre, ma è anche il dediserio di un modo di vivere insieme che faccia riscoprire la dimensione buona dell’essere umano e della socialità, non della contesa.
Ci vuole, però, l’impegno di tutto, non solo dei capi di Stato e di chi ha responsabilità politiche e ruoli specifici. Ci vuole l’impegno di tutti gli uomini e delle donne di buona volontà.
- Giubileo, canonizzazione di Carlo Acutis, celebrazioni francescane: si apre un periodo importante dal punto di vista religioso anche per l’Umbria?
Certamente, sono appuntamenti che richiameranno in questa regione tantissima gente. Proprio nei giorni scorsi ne parlavo con la presidente della Regione Umbria con la quale stiamo stiamo elaborando un tavolo comune - tra Regione e Conferenza Episcopale Umbra - per garantire un’accoglienza non soltanto dignitosa, ma davvero bella per tutti quei pellegrini che andando a Roma o tornando da Roma vorranno passare tra i luoghi di San Francesco, di Carlo Acutis e della spiritualità umbra.
Io, comunque, vorrei che questi appuntamenti, questi centenari, la canonizzazione, il giubileo, non si fermassero unicamente all’accoglienza, che pur richiede grande impegno, ma che fossero un momento di arricchimento personale. Stiamo perdendo sempre di più la dimensione interiore dell’esistenza, dunque è necessaria una maggiore attenzione - e questo vale per credenti e non credenti - a quella potenzialità di bene che ognuno porta dentro di sé per natura. Dunque, queste celebrazioni dovrebbero alimentare o suscitare una nostalgia per qualcosa di bello, di grande: questa è la vera sfida che noi dobbiamo raccogliere, unitamente alla possibilità di ricominciare.
Il Giubileo, d’altronde, dice proprio questo: fermarci un attimo e ricominciare.
- Un riferimento, il suo, anche alla situazione delle carceri? A Spoleto c’è un supercarcere e il Papa, all’apertura del Giubileo, un segnale su questo fronte lo ha già voluto dare...
Sì. Nella tradizione biblica del Giubileo c’è proprio la restituzione della libertà ai prigionieri, proprio in questa prospettiva della ricomposizione, dell’armonia, dell’unità, della convivenza sociale.
D’altronde i problemi delle carceri sono particolarmente attuali: sovraffollamento; convivenza difficile; mancanza di personale di custodia; etc...
Non si tratta di mettere tutti in libertà, perché ci sono debiti da pagare con la giustizia e con la società. Però c’è necessità di dare davvero a tutti l’opportunità di riparare e di recuperare un livello di vita, facendolo con dignità.
Il carcere deve servire per recuperare gli uomini, non per umiliare la persona e per privarla di tutti i suoi diritti. Dunque, ci vuole una una maggiore attenzione, un maggiore coinvolgimento di tutti coloro che sono responsabili del bene comune nell’attenzione verso queste persone, perché anche se si trovano in carcere sono sempre persone umane: possono essere colpevoli dei più grandi delitti, ma la loro dignità va sempre rispettata. Così come va garantito sempre il massimo aiuto per prendere coscienza del male compiuto e favorire la volontà di riparare e ricominciare.
Dunque il messaggio che arriva del Giubileo, ovvero “rimettere in libertà i prigionieri”, in realtà vuol dire aiutare coloro che sono in carcere, senza abbrutire alcuno e senza che qualcuno diventi ancor più negativo.
Qui a Spoleto, in cella, ci sono anche ergastolani che vedono imposte le regole del 41 bis. E ogni volta che li incontro colgo da loro la coscienza del male compiuto, ma dall’altra hanno l’amarezza e la frustrazione per un futuro segnato irrimediabilmente.
- L’Umbria ha visto un cambio politico alla guida dell’ente Regione. Lei in campagna elettorale era intervenuto per chiarire che la Chiesa Umbra non era schierata con alcun candidato. Polemiche e stigmatizzazioni politiche a parte, come giudica la nuova guida della Regione e in particolare la figura di Stefania Proietti?
Confermo quello che ho avuto modo di dire a suo tempo, cioè che la Chiesa in generale, ma anche la Conferenza Episcopale Umbra, non ha e non hanno avuto e non ha e non hanno nessun candidato particolare. Noi vogliamo lavorare insieme per il bene della nostra gente, mettendo a disposizione di tutti quel poco, quel tanto che abbiamo, per cui abbiamo sempre voluto favorire una collaborazione intelligente nella ricerca appunto di ciò che è giusto, buono per tutti.
Personalmente devo dire che conoscevo già la presidente Proietti fin da prima, come è naturale per il suo ruolo di sindaco di Assisi e, in queste prime settimane del suo nuovo incarico, abbiamo avuto già diversi contatti, caratterizzati da grande rispetto reciproco e disponibilità, da entrambe le parti, per collaborare, in vista anche, come ricordavo poco fa, di alcuni appuntamenti particolari come il Giubileo, la canonizzazione di Carlo Acutis, il centenario francescano.
Credo che le istituzioni civili e le istituzioni ecclesiali hanno, nel rispetto delle competenze di ciascuno, una finalità comune che è quella di aiutare la gente a vivere bene. E, dunque, c’è una responsabilità che ci accomuna.
Al di là delle appartenenze politiche, dei gusti personali se vogliamo o degli interessi di gruppo, se siamo coscienti della fiducia che la gente ripone in coloro che esercitano un’autorità ai diversi livelli dobbiamo rendere conto di questa responsabilità e di questa fiducia che ci è stata affidata.
- E quella di Donatella Tesei è stata una buona amministrazione?
Non tocca a me definire se un’amministrazione è buona o cattiva. Ripeto solo quello che ho detto in altre occasioni: che anche con Tesei e con il suo gruppo che era al governo della Regione abbiamo sempre avuto un’interlocuzione molto corretta, cordiale e di grande collaborazione.
- Ricostruzione post-sisma: il suo impegno è noto fin dai primi giorni dell’emergenza. Come sta andando la ricostruzione oggi e cosa c’è ancora da fare con urgenza?
Direi che, finalmente, ormai da due anni almeno, si è vista un’accelerazione della ricostruzione, sia in quella pubblica che in quella privata. E, questo, grazie all’impulso dato dal commissario Giovanni Legnini e continuato dal commissario Guido Castelli. Con entrambi abbiamo sempre avuto contatti continui e, direi, molto efficaci, nel senso che ogni questione affrontata insieme ha trovato una soluzione per il bene.
Noi abbiamo attualmente diversi cantieri aperti per quanto riguarda le chiese; chiaro che questa situazione richiederà molto tempo ancora. Solo nel territorio della diocesi Spoleto-Norcia abbiamo 362 chiese danneggiate dal terremoto o distrutte completamente, un patrimonio enorme.
Siamo riusciti già a restituire oltre 30 chiese alle comunità, perché sono state restaurate e riaperte al culto.
Poi c’è la ricostruzione privata, che procede ugualmente.
Ora la cosa che rimane più urgente è ridare la casa e il lavoro.
Abbiamo ancora tante famiglie che vivono nelle cosiddette casette e che desiderano tornare nelle proprie case come è legittimo.
E abbiamo quelle piccole industrie a conduzione familiare che erano il fiore all’occhiello dei nostri territori (pensiamo, per esempio, all’accoglienza nei territori di Norcia, di Cascia) che soffrono ancora dei ritardi.
- Papa Francesco ha nominato una donna, suor Brambilla, a capo di un dicastero. Una scelta segno di un cambiamento?
Più che di cambiamento, io sottolineerei l’attenzione e l’applicazione di quello che il Papa va dicendo da anni, cioè che è opportuno ed è giunto il momento di riconoscere alla donna un ruolo nella Chiesa anche a livello apicale. E’ un ampliamento degli orizzonti. Noi sappiamo che, in tutte le nostre comunità, la forza più consistente è proprio quella del mondo femminile e, dunque, è bene ed è opportuno che questa forza si esprima anche in ruoli di grande responsabilità non soltanto a livello locale ma a livello universale.
E’ un segno di grande fiducia del Papa nella donna in generale e in questa donna in particolare.
- C’è una fiction, trasmessa con successo da Rai Uno, molto popolare e che continua ad essere girata a Spoleto... Le sarebbe piaciuto avere un don Matteo tra i suoi sacerdoti?
No. Anche se riconosco che la figura di don Matteo può fare una buona pubblicità al prete in sé, almeno parte, mi piacerebbe vederlo più come un vero prete che come un poliziotto.
Non ne sento, quindi, la mancanza tra il clero di Spoleto. Non abbiamo bisogno di un don Matteo, ma di preti che sappiano stare vicino a Dio e vicino alla gente. Non abbiamo qualcosa di personale da trasmettere, da raccontare. Possiamo semplicemente trasmettere quello che possediamo avendolo imparato da questa frequentazione con il Signore che abbiamo scelto di seguire come maestro e modello della nostra vita.
- Quando la sua missione un giorno sarà conclusa, per il suo futuro sceglierà Spoleto o tornerà nel suo Piemonte?
La regola stabilita dal Codice di diritto canonico stabilisce che, al raggiungimento del settantacinquesimo anno, ogni vescovo, ogni sacerdote è invitato a presentare al proprio superiore la rinuncia al ministero diretto, ma non è che si finisca di essere vescovo o di essere prete, il ministero continua. E’ l’esercizio particolare nel servizio di una parrocchia, nel servizio di una diocesi che cambia di prospettiva. Certamente, al momento opportuno, presenterò al Papa la mia richiesta di lasciare il Ministero diretto come vescovo di Spoleto. Dove andare? Ci sto riflettendo... Ci sto riflettendo, in questi anni, perché, come si suol dire, la pensione bisogna prepararla, non ti può cadere addosso all’improvviso con il rischio di destabilizzarti.
In verità non ho deciso, ma posso dire che non mi dispiacerebbe rimanere a Spoleto anche per l’accoglienza che ho ricevuto in tutti questi anni, per la cordialità che ho sempre sperimentato da tutte le persone che ho incontrato. Sono stati anni molto belli, non sempre facili certamente, che ormai fanno parte della mia vita, fanno parte del mio patrimonio.
Non escludo dunque di non dover interrompere questa convivenza o questa vita di famiglia che ho sperimentato in questi anni.
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